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L'argine sul Colle

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A parte una certa indulgenza verso le esondazioni giudiziarie, alla quale forse si sente obbligato, ma a torto dal suo ruolo di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, il capo dello Stato non manca certamente di coraggio verso i suoi ex compagni di partito, e i loro alleati, quando ne avverte la spregiudicatezza, li richiama alla responsabilità e li convince, o costringe, a correggere il tiro. È onesto e doveroso dargliene atto, specie nel momento in cui egli diventa o torna ad essere oggetto di attacco e di scherno da parte dei più scalmanati oppositori del governo. Che pur di liberarsi dell'odiato Cavaliere, definito ieri da Il Fatto Quotidiano "il politico più sputtanato dell'Universo", avrebbero preferito vedere affondare nelle sabbie mobili del nostro bicameralismo parlamentare la manovra finanziaria, tra la gioia e i guadagni dei rapaci speculatori finanziari. I quali scommettono sempre sulle indubbie debolezze e contraddizioni del governo e della sua maggioranza, ma ancora di più sulla vocazione distruttrice di buona parte dell'opposizione. Anche questa volta, però, per fortuna del Paese essi hanno trovato un argine solido e insuperabile sul colle: quello del Quirinale. Poiché gli scalmanati non mancano purtroppo neppure nel centrodestra, ho letto di preoccupazioni coltivate o addirittura espresse da questa parte per un "commissariamento del governo" da parte del presidente della Repubblica. Che avrebbe, in particolare, costretto il premier ad aprirsi ad un peloso contributo delle opposizioni solo per evitarne l'irrigidimento, magari ostruzionistico, nel passaggio parlamentare della manovra finanziaria. Ma basta andare a rileggersi gli interventi di Berlusconi al Senato e alla Camera in occasione della recente "verifica" della maggioranza, peraltro imposta proprio dal capo dello Stato dopo la nomina degli ultimi sottosegretari, per trovare aperture e non chiusure rigide alle opposizioni. Che avevano risposto con la solita supponenza, sino poi a irridere le novità volute dallo stesso Cavaliere nella gestione del suo partito. Qui, se c'è un'ombra di commissariamento da parte del presidente della Repubblica è a carico più delle opposizioni che del governo, soccorso invece come nell'autunno scorso, dopo l'uscita degli uomini del presidente della Camera Fini prima dalla compagine ministeriale e poi dalla maggioranza, decisi a provocare la crisi con una mozione di sfiducia combinata con le vecchie opposizioni di centro e di sinistra. Anche allora gli speculatori finanziari annusarono l'affare con il possibile naufragio della legge di bilancio, ancora da approvare. Alla quale Napolitano volle invece che fosse data la precedenza assoluta, sin quasi a dettare il calendario parlamentare ai presidenti delle assemblee, a cominciare da Fini. Che quando si riuscì a votare sulla sfiducia a Montecitorio, il 14 dicembre, si trovò miseramente in minoranza. E disinvoltamente decise di restare lo stesso al suo posto, per quanto nel suo ufficio si fossero svolte sfacciate riunioni di corrente e di partito per predisporre la caduta del governo. Quel voto alla Camera segnò anche il naufragio dei progetti di governi di transizione, decantazione, salvezza nazionale, emergenza ed altre fantasie: le stesse delle quali si è tornati velleitariamente a scrivere e a parlare in questi giorni. E di cui si continuerà a discutere di certo nelle prossime settimane, ma sotto l'ombrellone. Cioè, a vuoto.  

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