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La giornata di Mr Gekko all'attacco dell'Euro

La borsa di New York

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Che cosa sta facendo in questi giorni, in queste ore, il nostro grande Gordon Gekko? Ripercorriamo brevemente le sue mosse e quelle dei suoi colleghi (amici non ne ha, benché non possa negare un debole per il suo nuovo nipotino).  Poco più di un anno fa dopo avere tagliato il tacchino con sua figlia Winnie - riluttante - ed il genero e promettente ex allievo Jake, e festeggiato il Santo Natale, ha fatto il punto della situazione dal nuovo megaufficio di Londra. A Capodanno 2010 i suoi colleghi squali di Wall Street hanno già smesso di leccarsi le ferite post Lehman Brothers: ferite, poi, per modo di dire. Poteva andare peggio. Dopo la Lehman non è infatti fallito più nessuno, anzi. I grandi colossi del credito si stanno rimettendo in fretta e meglio di prima. Intorno a sé Gekko osserva però l'Europa, in preda alla consueta sindrome di autocompiacimento. Gli europei sono convinti di averla fatta franca, che la crisi riguardi quelle carogne degli americani, e che loro, Germania in testa, si siano dati regole di virtù ferre e meravigliose. Poveracci! Quanta ingenua spocchia! Decisamente la vecchia Europa non cambia mai... Eppure basterebbe che guardasse un po' in casa propria. Per esempio alle mosse di un certo Sergio Marchionne, un italiano figuriamoci, benché di passaporto e di portafoglio svizzero, che ha deciso di andare a fare business proprio negli Usa, mentre Angela Merkel è ancora lì che strepita e aspetta i piani industriali della General Motors. Ecco, pensa Gekko, questo Marchionne deve essere uno che ha già capito tutto. Insomma: è il momento di sentire qualche vecchio amico, pardon collega. Anche loro hanno rimesso in piedi tutti gli edge fund di prima della crisi. Non ne manca nessuno: Warren Buffet, George Soros, Henry Paulson sono quelli noti, fin troppo, e quindi i più esposti. Gekko ne ha abbastanza della ribalta, anche se quel Paulson, che è stato segretario al Tesoro con Bush jr., con «dablia» che lo aveva prelevato direttamente dalla Goldman Sachs, ed ora con la sua Paulson & Co. gestisce un fondo privato da 35 miliardi di dollari, lui qualche idea interessante ce l'ha. Per esempio è andato a spiegare ai banchieri di Shangai che tra un po' potrebbero aprirsi interessanti occasioni di acquisto proprio nell'area dell'euro. E dire che i cinesi avevano puntato molto sui titoli del Tesoro americani, ed era stato proprio Paulson a venderglieli quando era intimo alla Casa Bianca. Ora, dice l'ex segretario, è il momento di mollare i dollari e posizionarsi in attesa che i titoli pubblici europei «vengano giù come pere». Perché presto è questo che accadrà. Ma guarda: Gekko è convinto della stessa cosa. Come del resto condivide ciò che ha scritto ai propri clienti Louis Moore Bacon, capo della Moore Capital da 14 miliardi di dollari: «L'area più interessante per il prossimo futuro» scrive Bacon «è la potenziale rottura dell'unione monetaria europea». E George, che ne pensa Soros? A Gekko non sta simpatico, con quelle sue idee sinistroidi ed ecosostenibili, con quella mania per i convegni... però non c'è dubbio che il fiuto non gli faccia difetto. E soprattutto non si può dimenticare come Soros, nel '92, abbia buttato giù come un birillo la sterlina, e già che c'era anche la lira italiana. Lì a Londra non se ne è scordato nessuno: Soros non è troppo ben visto; in Italia, invece, pubblica a suo nome perfino sui quotidiano di estrema sinistra... Bah, si sa che gli italiani sono strani. Comunque George dice questo: «Siamo sull'orlo di un collasso economico, e la Grecia è solo l'inizio e il pretesto». Non c'è dubbio: è il momento di ripartire in grande stile. Difatti ad inizio 2010 la Grecia viene giù. Certo, ha truccato i conti. Ma si sapeva da anni: eppure l'hanno fatta entrare senza battere ciglio nell'euro. Il fatto è che gli europei, con tutte le loro regole meravigliose, le banche e controbanche, istituti, commissioni, governi e ministri, a prendere uno straccio di decisione per un paese che vale un quarto della California ci impiega addirittura due mesi. Evviva: l'Europa ha dimostrato di essere un cane da pagliaio, abbaia ma non morde. Per Gekko e il suo giro il test è andato bene, anzi benissimo. Si può andare avanti. Sotto con un altro sondaggio. L'Irlanda, una succursale a un'ora di ferry dalla City di Londra. Questi, a differenza dei greci che sono mediterranei e con i conti in disordine, hanno il debito in ordine, fama di grandi lavoratori, intuito eccezionale per la finanza. Ma anche Dublino e dintorni finiscono impallinati. Per salvarli, Londra deve nazionalizzare tre o quattro banche. Gekko nel suo attico tutto cristalli e sculture minimaliste giapponesi lungo il Tamigi non è più molto gradito. È il momento di riaprire bottega nell'adorata Wall Street. Tanto lì, negli Usa, la Casa Bianca, l'Fbi e la Sec hanno ormai altro di cui occuparsi: i problemi riguardano gli europei. E questo Obama ha già perso la maggioranza al Congresso, e ogni volta che deve spendere un dollaro in più di debito deve mettersi d'accordo con i repubblicani. Meraviglioso. Si può festeggiare con quel Cristal millesimato del 2002 e andare avanti. Il Portogallo. La Spagna. Anche lì, come del resto in Grecia e Irlanda, vengono giù i governi. Con i rendimenti delle obbligazioni spagnole e irlandesi si fanno affari d'oro, e ancora più assicurandosi contro di esse attraverso i Cds, quei giocattolini dei credit default swaps che gli europei si ostinano a non capire. Gli amici di Moody's, Standard & Poor's, Fitch naturalmente danno una mano: proprio come ai tempi della Lehman. E i grandi capi di Berlino, Parigi, Roma, che fanno? Riunioni su riunioni. Pensate un po': da due anni dicono che proibiranno i report e gli outlook a mercati aperti delle agenzie di rating, anzi aboliranno proprio quelle agenzie fondandone una loro, tutta europea. E in 24 mesi non hanno ancora combinato nulla. Beh, a questo punto per Gekko è il momento di pensare più in grande. Gli altri, George, Warren, John, quel geniaccio di Steven Cohen, si stanno del resto già muovendo. Insomma, si può mirare direttamente al cuore dell'euro, l'Italia è il bersaglio giusto. Too big to fail, too big to bail, esattamente come la Goldman nel 2008, è però meravigliosa per qualche bella tosata. Naturalmente per poterla tosare, la pecora non va uccisa. Ma intanto l'Europa è nel panico, i cinesi cominciano a comprare pezzi di debiti in euro, e ringraziano con le loro laute commissioni di cui tanto non devono rendere conto né a parlamenti né a comitati. Come andrà a finire? L'euro si salverà oppure no? E gli europei con i loro governanti un po' bizzarri? Dalla sua nuova townhouse di Manhattan, dove ha piazzato qualcuna di quelle installazioni di arte contemporanea che tanto fanno impazzire le quarantenni bionde della upper Park Avenue, a Gekko in fondo non importa. L'essenziale è che il denaro non dorma mai: e il suo, in questo momento, non conosce davvero un attimo di sosta.

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