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Salvano pure le Province

La Camera dei deputati durante la votazione della manovra finanziaria

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La prima notizia è che ieri l'Aula della Camera ha «affossato» la proposta di legge dell'Italia dei valori per l'abolizione della province. Presenti 548 deputati, è stato loro chiesto se mantenere o meno l'articolo 1 del testo che prevedeva «la cancellazione, dalla rubrica del Titolo V della seconda parte della Costituzione», della parola «province»: 225 hanno detto no, 83 sì, 224 si sono astenuti. La seconda notizia è più datata e risale al 2008. Ad essere precisi alla campagna elettorale per le elezioni Politiche del 2008. In campo Walter Veltroni e Silvio Berlusconi. Come è andata a finire è cosa nota. Ma forse pochi ricordano una delle promesse elettorali fatta dai due candidati. Ecco allora un piccolo aiuto. Programma del Partito Democratico. Uno dei punti si initola «Stato: spendere meglio e meno». Si parte con una domanda: «Mezzo punto di Pil in meso di spesa corrente prima nel primo anno; un punto nel secondo; un altro punto nel terzo. Come?» L'ultima risposta è difficilmente equivocabile: «Nelle Aree Metropolitane via le Province e unione/fusione dei comuni piccolissimi». Il 22 marzo, intervistato dal Messaggero, Veltroni va addirittura oltre. E alla domanda su quali siano gli interventi «immediati, ancorché impopolari, indispensabili per fronteggiare l'emergenza economica», risponde: «Un intervento è la riduzione della spesa pubblica che per me significa cose concrete». Quali? «Riduzione dei costi della politica, abolizione delle province, livelli di efficienza nella pubblica amministrazione». Passiamo al campo avverso. Anche Berlusconi non si risparmiò. «Se l'opposizione ci darà una mano, come dice voler fare, si può andare all'abolizione delle province» (20 marzo). «Aboliremo la province, è nel nostro programma» (10 aprile). «Bisogna tagliare gli enti inutili come le province e le comunità montane» (11 aprile). In mezzo anche un'intervista al Tempo (2 aprile) in cui, oltre a confermare l'impegno, il Cavaliere offriva una soluzione per i 60 mila dipendenti che sarebbero rimasti senza lavoro: «In due anni andranno in pensione settantamila dipendenti della pubblica amministrazione. Gli impiegati delle Province prenderanno il posto dei neo-pensionati». Tre anni dopo eccoci qua: le promesse sono rimaste tali e le province sono ancora al loro posto. Non solo, ma mentre si continua a discutere dei tagli ai costi della politica, si fa di tutto per slavaguardare l'esistente. Ciò che è accaduto ieri alla Camera ne è la prova più evidente. Certo, la scelta non è stata indolore. Sulla carta si sono dichiarati contrari alla proposta dell'Idv Lega e Pdl. Il Terzo Polo si è schierato a favore, mentre il Pd ha scelto di astenersi. I Democratici, però, hanno raggiunto un accordo solo dopo 4 durissime ore di confronto interno. Mentre il partito del premier ha dovuto fare i conti con 43 «dissidenti» che hanno scelto di astenersi (tra gli altri il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi e Maurizio Paniz). Ma, nonostante i malumori e i dissensi, l'abolizione è stata fermata. E immediata si è scatenata la polemica. «Mi dispiace molto perché il Pd ha perso l'occasione per fare una cosa saggia - ha commentato il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini - visto che se avessero votato a favore il governo sarebbe andato in minoranza e poi si sarebbe mandato un segnale perché dividere le competenze tra Regioni e Comuni non sarebbe un peccato di lesa maestà». Più duro Antonio Di Pietro: «Oggi si è verificato il tradimento generalizzato degli impegni e dei programmi elettorali da sinistra a destra. Tutti hanno fatto a gara nel far sognare in campagna elettorale gli italiani sul fatto che si sarebbe tagliata la casta eliminando le province e poi oggi non hanno mantenuto gli impegni. In aula si è verificata una maggioranza trasversale: la maggioranza della Casta». «È stato patetico - ha proseguito il leader dell'Idv - che anche nella coalizione di centrosinistra si sia chiesto un rinvio dopo che da 51 anni si rinvia. La verità è che c'è un'enorme differenza tra le chiacchiere elettorali e i fatti». Parole che non hanno fatto piacere a Pier Luigi Bersani che ha subito replicato: «Noi abbiamo le nostre proposte, non ci facciano tirate demagogiche. La nostra proposta è di ridurre e accorpare le Province perché bisogna anche dire come si fa perché alcune cose nelle Province sono inutili e altre utili come ad esempio il fatto che si occupino dei permessi per l'urbanistica». Una linea non molto distante dal quella del ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli convinto che «molte province» debbano essere «effettivamente riviste e soppresse», ma che per farlo sia necessario «l'abbinamento fra una riforma costituzionale e una legge ordinaria». Nel frattempo l'esponente leghista annuncia che il Carroccio ha presentato un nuovo disegno di legge che dimezza «complessivamente» i parlamentari e crea il Senato Federale. Il testo è stato portato lunedì al pre-consiglio e Calderoli sfida tutti. «Vedremo chi lo vota» dice subito dopo che l'Aula ha bocciato la proposta di legge sulle province. Non proprio un ottimo precendente.

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