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Dossier e ricatti. Ma è un polpettone solo sulla carta

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Il pm di Napoli John Henry Woodcock

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Pronti, attenti, via. La macchina del polverone ha superato il rodaggio e funziona già a pieni giri. «P4, terremoto a Palazzo Chigi», titola Repubblica in prima pagina sottolineando  che l'inchiesta su ricatti e dossier si allarga e condendo con articoli sul «metodo del dottor Gigi» e «Informazioni sicure da finanza e 007». Segue la cronaca della polvere da pagina 2 a pagina 7. Il Corriere della Sera rilancia con «La rete gelatinosa di affari e amicizie» firmata dalla giudiziarista di punta Fiorenza Sarzanini e si dedica al polverone da pagina 2 a pagina 9. Gli fanno da contraltare i titoli del Giornale («È il momento dei corvi» ) e di Libero che alza la povere, ma sul «Bunga bunga dell'Idv». Il Riformista preferisce invece andare dritto al cuore del problema politico, il braccio di ferro tra Pdl e Lega e spiega che ci sarà «L'obolo per Pontida». Giusto una pausa in rassegna stampa. Da sinistra ritorna subito al polverone con il titolone del Fatto che prende spunto da una telefonata dell'ex direttore generale della Rai, Masi, a Bisignani: «Ti sono piaciuto da Santoro? Sì, bella figura di merda!». E ieri sul sito del quotidiano di Padellaro (in attesa della diretta streaming dello show pro-Fiom, «Tutti in Piedi») vengono rivelati altri dettagli: «Fu il capo della P4 a scrivere la lettera di licenziamento di Santoro». Mentre sull'Unità spicca l'intervista all'ex pm titolare dell'inchiesta Why Not e oggi sindaco di Napoli, Luigi De Magistris che dice: «I miei ex colleghi Greco, Woodcock e Curcio hanno riscontrato quasi le stesse cose che stavo riscontrando io: un governo occulto della cosa pubblica, parallelo a quello legale e interagente con esso, che orienta il comportamento di organi costituzionali entrando nei processi di approvazione delle leggi e di adozione di provvedimenti amministrativi che incidono pesantemente sulla collettività». Poi arriva il pezzo forte: «Questi per anni hanno violato la legge usando la carta bollata. È per questa ragione che i loro scopi sono eversivi. Tecnicamente siamo di fronte ad un tentativo di eversione dell'ordine costituzionale». Totale: un gran polpettone di intercettazioni, pissi pissi, raccomandazioni, cricche vecchie e nuove, agenti segreti, pubblici funzionari infedeli, intrecci occulti. Di notizie sui reati per adesso se ne leggono poche. Sulla Stampa Francesco Grignetti sottolinea che l'esistenza di un'associazione segreta in quanto tale non ha convinto granché il gip Luigi Giordano, il quale non ritiene possibile «un programma comune tra Bisignani, il parlamentare Papa Alfonso, il sottoufficiale di carabinieri La Monica Enrico e l'agente di polizia Nuzzo Giuseppe». Troppo siderali gli sembrano le distanze tra i protagonisti. Lo scrive anche la Sarzanini sul Corriere che nella sua ordinanza «il giudice di Napoli ha fatto cadere alcune accuse mosse dai pubblici ministeri come la corruzione, perché ha ritenuto che non fossero sufficientemente provate» e ha accantonato «proprio perché non supportata da elementi concreti, l'ipotesi di associazione a delinquere». In un altro articolo però la stessa giornalista si arrende al polverone e passa a scandagliare i verbali degli interrogatori di Bisignani in cui si citano le relazioni fra Alfonso Papa e gli 007 come Pio Pompa, stretto collaboratore del capo del Sismi Niccolò Pollari, già accusato di aver gestito l'archivio segreto di via Nazionale con dossier riservati su politici, magistrati, giornalisti e imprenditori. Una matrioska di intrighi che avrà sicuramente appassionato il lettori del Corriere. E anche quelli di Repubblica che hanno potuto leggere la stessa spy story in un articolo a pagina due dal titolo «Servizi segreti e finanza, una rete in dote a Bisignani» dove gli autori spiegano che «le carte istruttorie propongono pochi quadri per altrettante testimonianze che provano, allo stato, solo ciò che possono documentare: un network». Aggiungono però Chiocci e Malpica sul Giornale, che nell'inchiesta napoletana di Woodcock e Curcio il gip avrebbe gradito un utilizzo più rigoroso delle intercettazioni tanto che nelle 263 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare, i verbali di dichiarazioni sono stati «depurati dalle parti che fanno riferimento diretto alle telefonate». Ma già s'annuncia un ricorso dei pm in Cassazione per utilizzare le intercettazioni che il gip ha cassato e così supportare meglio l'ipotesi di una società segreta. Gli scrupoli «garantisti» del giudice potranno probabilmente molto poco dopo il deposito degli atti. Le intercettazioni «proibite» rischiano comunque di vedere la luce. E di finire in edicola. Dove intanto tengono banco ipotesi, chiacchiere al telefono ed elenchi di relazioni peraltro ben note da tempo a chi bazzica i palazzi della politica e della finanza. Bastava andare la mattina al bar di piazza Mignanelli, mica in un sottoscala carbonaro, per vedere le colazioni occulte davanti a brioche e cappuccino. Perché Bisignani lo frequentava mezza Capitale, mica solo Letta (che però non è un parlamentare dunque non può godere di alcuna immunità), e anche nella City milanese certi intrecci sono un segreto di Pulcinella. E anche perché, scrive Giuliano Ferrara sul suo Foglio, sono legioni quelli come Bisignani, «Prodi ha i suoi informatori riservati, i suoi amici di banchieri e di manager pubblici, i suoi ometti per la politica estera, e per mille relazioni speciali sottopelle, e così li hanno i D'Alema e i Casini e i Fini e i Bersani e tutti gli altri politici di peso, per non parlare degli imprenditori». Lobbisti alla pommarola che scimmiottano gli americani, loro sì bravi a metter su gruppi di interesse. Solo che negli States tutto è alla luce del sole, mentre qui in Italia si fa lobby ma non si dice. Sennò il giorno dopo qualcuno s'inventa una nuova P5, sei e sette. In Francia quelli come Bisignani li chiamano brasseur d'affaires, negli States, power broker. Qui sono faccendieri. Marchiati anche come massoni o cloni del metodo Gelli-Andreotti, come lo ha definito Alberto Statera su Repubblica sentendo «odore stantio di deja vu». «Sembra di tornare indietro di quasi un terzo di secolo – scrive Statera nel suo articolo di ieri da titolo “Sopire, placare, colpire, il metodo Bisignani per gli affari e il potere” – spizzicando le nuove gesta di Gigi Bisignani, il furetto scattante che allora reclutava per conto di Licio Gelli e oggi ha federato tutte le “P” massonico-affaristiche della seconda Repubblica. Ultima conosciuta, per ora, la P4». Sono proprio i faccendieri furetti quelli che piacciono tanto ai macchinisti del polverone perché ne basta uno per far volare un palazzo intero. Perché se c'è la macchina del fango, allora esiste anche quella del materiale inerte da demolizione, non serve a costruire, al massimo a pavimentare l'avversario politico. E chissenefrega del referendum e dei risultati delle amministrative, dei movimenti su facebook e delle aspirazioni di quella che Vendola ha definito «idea anti-oligarchica della democrazia». La vera partita per mandare a casa un governo si gioca sul campo delle inchieste. In mezzo alla polvere.

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