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Berlusconi studia il rilancio

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Ragiona Fabio Rampelli, un deputato del Pdl antinuclearista e che ha fatto campagna elettorale per il sì: «Sono almeno 12 milioni secondo un calcolo approssimativo, gli elettori del centrodestra che si sono recati alle urne. Senza di loro non si sarebbe mai raggiunto il quorum e questa moltitudine di persone non intende farsi rappresentare da Bersani, che in maniera patetica chiede le dimissioni di Berlusconi. Non era quella la posta in gioco dei referendum». Dodici milioni di pidiellini si sono recati alle urne? Il conto non è peregrino. A votare ai referendum ci sono andati circa 27 milioni e mezzo di italiani. Alle elezioni politiche 2008 circa 14,8 milioni scelsero il centrosinistra: Pd, Idv e l'allora Sinistra arcobaleno. Aggiungendo anche i due milioni di Udc siamo a 16,8. Se fossero andati tutti ai seggi (sebbene allora l'affluenza alle urne fu dell'80%, oggi venti punti in meno) circa una decina di milioni di elettori che tre anni fa scelsero il centrodestra s'è recata alle urne. Almeno una decina dei 17 che preferirono Pdl e Lega alle trionfali Politiche vinte su Veltroni. Insomma, inutile girarci attorno: la gran parte degli elettori della maggioranza di governo, forse la più parte, non ha seguito l'indicazione dei leader. E questo dato ormai nessuno più lo nasconde al vertice del Pdl. A cominciare da Berlusconi che è costretto ad ammettere che un bel pezzo del suo elettorato gli ha mandato un segnale preciso. E non solo ha bocciato le leggi su acqua e nucleare ma ha anche cassato pesantemente quella sul legittimo impedimento alla faccia della persecuzione dei pm. Non si può minimizzare. Non si può rifiutare il risultato elettorale. Così, a urne ancora aperte e nel bel mezzo del vertice con Nethanyau, il premier si lascia scappare: «L'Italia, probabilmente a seguito di una decisione che il popolo italiano sta prendendo in queste ore, dovrà dire addio alla questione delle centrali nucleari e quindi dovremo impegnarci fortemente sul settore delle energie rinnovabili». Dopo pranzo si chiude a palazzo Grazioli. Stordito, impressionato. Infastidito dalla pioggia di richieste di dimissioni. Si barrica in trincea dietro una dichiarazione scritta che viene diffusa nel pomeriggio: «L'alta affluenza nei referendum dimostra una volontà di partecipazione dei cittadini alle decisioni sul nostro futuro che non può essere ignorata. Anche a quanti ritengono che il referendum non sia lo strumento più idoneo per affrontare questioni complesse, appare chiaro che la volontà degli italiani è netta su tutti i temi della consultazione. Il Governo e il Parlamento hanno ora il dovere di accogliere pienamente il responso dei quattro referendum». Un modo per dire: messaggio ricevuto. E già questo sembra un grande passo avanti visto che dopo il primo turno a metà maggio, il Pdl organizzò di fretta e furia una conferenza stampa per dire che in pratica non era accaduto nulla e le elezioni erano finite pari. Al secondo turno, due settimane fa, Berlusconi aveva detto in pratica: peggio per i milanesi e per i napoletani che avevano scelto Pisapia e de Magistris. Stavolta s'è reso conto che una buona parte della legnata gliel'hanno data proprio i suoi. E adesso? Primo, Berlusconi ha ripetuto per tutto il giorno che non intende dimettersi. «Anzi, il voto ci deve spronare ad andare avanti in maniera ancora più decisa sul nostro programma», ha detto ossessivamente il premier a chi l'ha sentito a telefono. E giù gli annessi improperi contro Giulio Tremonti, reo di traccheggiare ancora sulla riforma del fisco e sulle risorse da utilizzare. Ormai parla apertamente di una sua defenestrazione. E poi? Berlusconi appare confuso, non ha un'idea chiara. Immagina di rilanciare un grande percorso per fare le riforme costituzionali. Riduzione dei parlamentari, riduzione delle Province, tagli ai vitalizi dei parlamentari: e poi vediamo chi ci sta. Una sfida ma anche mano tesa all'opposizione. Ai futuristi, che pure condivisero il piano con cui Berlusconi vinse le elezioni tre anni fa. E anche (forse sarebbe meglio dire soprattutto) all'Udc, ai centristi, al mondo cattolico che nelle urne hanno fatto sentire il loro peso. E a chi nel centrosinistra se la sente di farsi carico del grave momento che attraversa l'Italia e l'Europa. Un primo segnale l'ha lanciato Gianni Letta inaugurando ieri sera una mostra sulle donne a palazzo Ruspoli. Ha letto un testo sulle donne scritto da Luciano Violante.

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