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Berlusconismo in crisi profonda

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C'è una immagine che mi ha colpito in modo particolare nella riunione che ieri mattina hanno tenuto a Roma i "servi liberi e forti" di Berlusconi. È il riferimento che il nostro direttore, Mario Sechi, ha voluto fare al disastro del Titanic ricordando che fu non la punta dell'iceberg ma la parte sommersa della montagna di ghiaccio a provocare l'affondamento del più grande e moderno transatlantico del mondo. Detto fuor di metafora, ciò significa una sola cosa: la crisi del berlusconismo - che ha meriti indiscutibili (i quali, prima o poi, dovranno pur essere riconosciuti) nella storia del nostro paese - è molto più profonda di quel che appare. O di quel che si è disposti ad ammettere. Con le armi classiche della vecchia politica - le promesse senza futuro, le trattative inesauribili, i compromessi continui, i giochini parlamentari - si potrà, pure, disintegrare la punta dell'iceberg ma non si potranno bloccare le crepe profonde che ne attraversano la parte sommersa e che annunciano sinistramente la possibilità di una implosione. Bisogna riconoscerlo. E realisticamente. Le cure suggerite, anche nel corso della ricordata riunione, a cominciare dalla proposta delle primarie a breve termine, sono soltanto palliativi. Sono antidolorifici che leniscono i sintomi ma non influiscono sull'evoluzione del male. Il problema vero è che, ormai, il Pdl non parla più alla sua base, perché non ne capisce il linguaggio, non ne percepisce gli umori, non ne raccoglie gli stimoli. È una struttura diventata improvvisamente vecchia, indipendentemente dall'età anagrafica sua e dei suoi esponenti. Si è creato un solco profondo tra la sua classe dirigente e la massa di cittadini comuni che sognano una società liberale. Davvero, e senza condizioni, liberale, fondata sull'uguaglianza delle condizioni di partenza e sulle capacità di saper conquistare primati sulla base della libera concorrenza. La questione, peraltro, non riguarda solo il Pdl, ma l'intera coalizione di centro-destra perché il maggiore alleato del Pdl, la Lega, la componente cioè della coalizione che ha subito la punizione più forte da parte dell'elettorato, dà l'impressione di essere una forza politica in crisi di identità, alla ricerca di iniziative velleitarie e senza reale prospettiva, come dimostra la proposta del decentramento di taluni ministeri, che si risolverebbe solo nell'aumento del "costo della politica". E come, ancora, dimostra il voto che ieri il Carroccio ha espresso contro la proposta che obbliga quanti occupano cariche pubbliche a giurare fedeltà alla Costituzione. Il che, sia detto per inciso, può anche essere teoricamente giusto dal momento che il giuramento di fedeltà alla Carta non è la stessa cosa del giuramento di fedeltà alle istituzioni ed equivale ad accettare il principio di un "patriottismo costituzionale" tendente a ingessare la situazione e a garantire l'inalterabilità di un testo ormai obsoleto. Tuttavia, quel voto è indicativo, al di là del suo significato, di uno smarcamento dalla coalizione. Come pure, va detto, è indicativa dello stato confusionale del Pdl l'intesa bipartisan raggiunta con l'opposizione sul giuramento di fedeltà alla Carta. La crisi del Pdl, e più in generale del centrodestra, non si risolve con misure come la nomina di un coordinatore unico, per quanto bravo egli possa essere. E neppure con l'introduzione delle primarie, per quanto auspicabili possano venir considerate. Si risolve prestando orecchio alle attese e alle speranze degli italiani (e sono tanti, sono in maggioranza) che credono ancora nei valori, nelle idee, nei principi di un centrodestra moderno, liberale e democratico. Si risolve tornando alla politica, alla politica vera fatta di cose e realizzazioni concrete. Si risolve, per esempio, con un atto di coraggioso "rimpasto" del governo che recuperi personalità legate, idealmente e programmaticamente, alla stagione "liberale" del 1994. Si risolve, ancora, con un colpo d'ala che metta subito in cantiere le riforme finite nel cassetto, a cominciare da quelle destinate a incidere sul "costo della politica" e sull'eliminazione di privilegi. Si risolve, insomma, porgendo orecchio al mormorio del popolo liberale, giovane e moderno, che contesta la tendenza a creare oligarchie e sepolcri imbiancati. Se manca il colpo d'ala, la sorte del governo è segnata. Non tanto perché - come è accaduto ieri - esso possa finire "sotto" in una o più votazioni parlamentari, quanto piuttosto perché non risponde più agli interessi del paese. Ma sarebbe segnata anche la sorte del Pdl. E di tutto in centrodestra, incapaci di rinnovarsi. E sarebbe la fine di un sogno.  

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