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Bossi fa pace con Silvio. "Ora un nuovo progetto"

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Silvio Berlusconi e Umberto Bossi

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Dopo l'avvertimento, le rassicurazioni. Bossi non ha intenzione di rompere col Cav anzi, ieri, è tornato a garantirgli lealtà escludendo che Tremonti o Maroni vogliano rimpiazzarlo. Il Senatùr torna a vestire i panni dell'alleato fedele smentendo le voci che lo davano pronto a far cadere la maggioranza. Il tutto però in cambio di un repentino cambio di strategia. «Un nuovo progetto» che Berlusconi deve garantirgli per rilanciare l'azione del governo. Un piano che, sebbene sia indefinito, un punto fermo ce l'ha già: non prevede poltrone ma riforme. Per questo Bossi smentisce l'idea di incarichi a Tremonti e Maroni specificando che alla Lega, dopo l'incontro con il Cavaliere di ieri a margine del Consiglio dei ministri, non sono stati offerti posti bensì «un progetto» per rilanciare il centrodestra anche in visione del passaggio parlamentare chiesto dal Colle per formalizzare l'allargamento della maggioranza. Ed è proprio sulla richiesta di Napolitano ai presidenti delle Camere di investire il Parlamento di un ipotetico voto di fiducia che Bossi dimostra il suo rispetto verso il Capo dello Stato: «Di verifiche ne abbiamo fatte già tante, ma se la chiede Napolitano la faremo. Lui è il capo». Eppure, nonostante le aperture verso il Pdl e Berlusconi, la realtà appare diversa. A spiegarlo sono alcuni dirigenti della Lega che non hanno dubbi a ribadire che l'idea di una exit strategy resta ben radicata nella mente di Bossi. E infatti, già nelle dichiarazioni del Senatùr si ravvisano diversi indizi dei dubbi covati. Prima di tutto, neanche ieri Bossi ha detto chiaramente cosa succederà se la Moratti dovesse perdere: «Vedrete che non succederà», ripete come un mantra ai giornalisti, evitando però accuratamente di dire che la Lega resterà con Berlusconi anche in caso di sconfitta. E poi, il leader leghista rimanda a Berlusconi il vero dubbio che rischia di far saltare tutto il banco, ovvero il comportamento dei Responsabili: «È quello che gli ho chiesto oggi e lui è convinto». Appunto, «lui». Ma il timore della Lega, spiega un parlamentare del Carroccio, è restare vittima «collaterale» della guerriglia dei Responsabili: «Non saltare al momento giusto giù da una nave che ormai sta imbarcando troppa acqua». Che sia possibile avviare davvero un «nuovo progetto» contando sui voti decisivi dei Responsabili è infatti una certezza che Bossi attribuisce al solo Berlusconi, avvertendo che «sono problemi che vanno affrontati adeguatamente». Poi il pensiero torna a Milano. L'idea che sia davvero possibile vincere è convinzione poco diffusa eppure l'Umberto decide di scendere in campo per i ballottaggi e dà il via alle «10 giornate di Milano» per riconquistare la città. A sorpresa, radicalizza lo scontro con Giuliano Pisapia: lo definisce «un matto» (cosa che poi smentisce di aver detto, ndr) che «vuole riempire la città di immigrati e moschee», rendendola «una zingaropoli», «non compatibile con una Milano decente». Una strategia chiara: estremizzare lo scontro per portare al voto quel 30% di milanesi che hanno preferito rimanere a casa e «riconquistare» anche quei moderati, non solo quelli del Terzo Polo, che «non daranno la città in mano agli estremisti di sinistra». In ogni caso, Bossi vuole rendere quella di Milano una battaglia leghista. «La base - rimarca - sta dove sto io».

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