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Pd ostaggio degli alleati

Pierluigi Bersani

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A dispetto della «inequivocabile vittoria» vantata dopo la mancata conferma di Letizia Moratti a sindaco di Milano nel primo turno, non si riducono per Bersani e il Pd le difficoltà di prospettiva politica nazionale. In particolare, diventa ancora più aleatorio di quanto già non fosse il progetto coltivato dal segretario del maggiore partito d'opposizione, e da Massimo D'Alema, di arrivare alle prossime elezioni generali con un'alleanza estesa da Pier Ferdinando Casini a Nichi Vendola, e forse anche ad Oliviero Diliberto, oltre naturalmente ad Antonio Di Pietro. Che è l'unica combinazione con la quale il Pd potrebbe realisticamente tentare di battere davvero la prossima volta il centrodestra. A confermare che questo sia ancora l'obbiettivo del gruppo di comando del Pd è stato ieri il vice segretario Enrico Letta. Che pure viene generalmente considerato, anche per la sua provenienza dalla Dc, un esponente moderato. «Il nostro obbiettivo- egli ha dichiarato testualmente- è di allargare le nostre alleanze a sinistra e al centro». Ma quanto più risultano evidenti i condizionamenti dell'estrema sinistra, tanto più crescono le difficoltà di una eventuale trattativa del Pd per un'alleanza elettorale generale con il terzo polo guidato da Casini, dove Gianfranco Fini e Francesco Rutelli si contendono i gradi e il ruolo di numero due. Proprio questi condizionamenti, ai quali Casini ha ripetutamente chiesto al Pd di rinunciare per parlare di un'intesa organica con lui, risultano rafforzati dai risultati del primo turno delle amministrative. A Milano, per esempio, il partito di Bersani per competere con la Moratti ha dovuto correre con il candidato non suo ma di Nichi Vendola, prevalso nelle primarie: Giuliano Pisapia. Un candidato che, al di là delle sue qualità personali e morali, inutilmente e autolesionisticamente attaccato dalla Moratti per una vicenda giudiziaria peraltro conclusasi con la piena assoluzione, ha origini e perduranti frequentazioni e sostegni politici, quelli dei leoncavallini e altri centri sociali, a dir poco indigesti per gli elettori moderati del terzo polo. Ai quali è ben difficile quindi che Casini e i suoi alleati possano chiedere di votare per lui nel ballottaggio del 29 maggio. E anche se glielo chiedessero, scommettere su una risposta positiva sarebbe come tentare un terno al lotto, per quanto la Moratti abbia potuto deludere e Pisapia sorprendere nel primo turno, sino a sorpassarla, e di brutto. Se scendiamo da Milano a Napoli, il quadro non cambia. Anzi peggiora. In quella che la sinistra ha purtroppo ridotto a capitale della monnezza il Pd ha avuto la prudenza, bisogna riconoscerlo, di smarcarsi in prima battuta dal candidato politicamente più estremista a sindaco, l'ex magistrato ed eurodeputato dipietrista Luigi de Magistris, ed anche l'abilità di sottrargli l'appoggio ufficiale del partito di Vendola. I cui elettori però al prefetto candidato dal Pd hanno in buona parte preferito de Magistris, mandando lui al ballottaggio con il candidato del centrodestra. Che è destinato a prevalere nel secondo turno su uno schieramento nel quale i partiti sia di Vendola sia di Bersani, statene sicuri, finiranno per confluire al seguito di de Magistris. Se da Napoli saliamo a Bologna, la vecchia capitale rossa, troviamo il candidato sindaco del Pd scampato per poco al ballottaggio, mentre scrivo, con un centrodestra guidato da un leghista che ha cercato di contendere ai grillini i tanti voti in uscita da quello che fu il Pci.

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