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Bersani si aggrappa alla Consulta

Montecitorio

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Il decreto legge «Omnibus», quello che contiene le norme che farebbero saltare il referendum sul nucleare, arriva alla Camera. Il provvedimento, approvato dal Senato la scorsa settimana, è stato assegnato alle commissioni Bilancio e Cultura. Il suo iter a Montecitorio scadrà il 30 maggio. Dentro e fuori il Palazzo lo scontro sull'atomo prosegue senza esclusione di colpi. Il governo va dritto per la sua strada, quella intrapresa da Berlusconi durante il vertice italo-francese di martedì: il nucleare è il futuro. «Dovremo giungere a stabilire parametri di sicurezza validi a livello mondiale. Solo allora potremo riaprire il discorso», spiega il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani. Ecco il perché dell'emendamento che abroga le norme sul nucleare: «Non esistono contraddizioni con l'azione di governo». Semplicemente - spiega - mentre il referendum «non pone garanzie sul nucleare e produrrebbe un "no" e basta. Facendo abrogare quella parte della normativa che riguardava la costruzione delle centrali - spiega - ora possiamo preoccuparci di ciò che conta, e cioè della sicurezza». C'è dell'altro. Gli italiani pagano ancora per il passato atomico. Romani lo sa e lo ricorda a chi è contro: «Il decommissioning è un costo che grava sulla collettività fin dal 1987, da quando si è deciso di abbandonare il nucleare in Italia. Continueremo a pagare finché non avremo dismesso e trattato tutti i materiali radioattivi. Non è un costo legato alla scelta del nucleare ma piuttosto legato alla scelta del "no" al nucleare». Rispondendo poi al question time in Aula il ministro ammette che il governo deve «ridefinire una nuova strategia energetica nazionale» alla luce di quanto accaduto a Fukushima e di quanto previsto dall'emendamento al decreto Omnibus. La nuova strategia «vedrà sicuramente un impulso alle rinnovabili ma dovrà tenere conto anche di altri temi importanti come l'efficienza energetica, il risparmio energetico e il completamento delle reti intelligenti», spiega. La sinistra, intanto, non demorde e si affida a chi l'opposizione - quando vuole - sa farla davvero: il capo dello Stato e i magistrati. Per Bersani è compagni è sempre la stessa storia: la moratoria altro non è che una «truffa», un «imbroglio», uno «scippo» per evitare il referendum. L'unica soluzione che il segretario dei democratici riesce a trovare è quella di "invocare" la suprema corte: «Se la Cassazione ritenesse che le dichiarazioni irresponsabili del presidente del Consiglio avessero un fondamento giuridico - afferma - non vedo come sarebbe possibile non fare il referendum, perché evidentemente in quelle affermazioni c'è il tradimento completo delle intenzioni dei referendari». Antonio Di Pietro, da parte sua, "si vota" a Napolitano: «Esistono ancora gli spazi istituzionali per bloccare quel che tutti hanno capito essere una truffa portata avanti dal governo Berlusconi - spiega il leader Idv Innanzi tutto il Parlamento, che alla Camera può e non deve votare questa legge, e poi il Capo dello Stato che può e non deve promulgare una legge chiaramente incostituzionale nella parte in cui viola il diritto dei referendari di ascoltare il voto dei cittadini sulle centrali».  

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