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Berlusconi si mette a fare Grillo

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Silvio Berlusconi

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Oltre il suo partito. Anzi, contro il suo stesso partito. Contro i palazzi, contro i poteri che vogliono fermarlo. Contro le Procure. Un uomo solo al comando. Alla disperata ricerca del suo popolo. Silvio Berlusconi va dritto per la sua strada. Paradossalmente quelle frasi di Napolitano così dure contro le sue sortite gli fanno gioco. Gli consentono di giocare ancora di più il ruolo del leader che cercano di imbrigliare. In lotta contro i soliti "professionisti della politica". Che cosa ha portato il Cavaliere a ribaltare la sua linea di condotta (prima istituzionale, rispettoso dei giudici; ora rivoluzionario contro il Palazzo), a capovolgere la sua strategia nel breve volgere di un week end? Su tutti i sondaggi, che lo danno in flessione. Scende il governo, scendono i ministri, scende paurosamente il Pdl e naturalmente anche lui, il Cavaliere. Il morbo dell'antipolitica si è fatta breccia soprattutto nell'elettorato del centrodestra. Solo la Lega non sembra esserne stata intaccata. «I nostri elettori - spiega un collaboratore stretto del premier - appare schifato dalla politica in generale. Schifato dal Pdl, dall'immobilismo della politica. Il tutto si moltiplica per effetto della crisi economica ma non è andato altrove e non ha completamente smarrito la fiducia. Per questo bisogna richiamarlo alle armi». Risvegliarlo. Ricordargli che Berlusconi è sotto attacco, accerchiato. Che lui vuole fare, sono gli altri che lo fermano. E per prima cosa è necessario ricordare l'azione dei magistrati che vogliono farlo fuori. I manifesti nelle strade di Milano facevano parte di questa strategia. Per questo era stata messa in piedi l'associazione «Per la difesa della democrazia» del candidato Lassini che infatti ha ottenuto gli spazi pubblicitari in quanto "sostenitore del Pdl". E le sue provocazioni sono finite su tutti i siti vicini al partito del premier e fatti girare come una pubblicità virale, come un anonimo passaparola di parte. Fino alla provocazione eccessiva delle «Br nelle Procure» che ha saltare il giochino e fatto infuriare il Colle. A sua volta il Capo del governo era infuriato con Napolitano quando ha visto che in aula alla Camera tutti i capetti del Pd che leggevano un articolo della Costituzione a testa: Massimo D'Alema s'era scelto per sé proprio quello che consegna al Capo dello Stato il potere di sciogliere il Parlamento. E subito dopo aveva chiesto a Napolitano proprio di portare il Paese alle urne. Lasciando intendere così di avere un asse più che forte con il suo ex collega di partito. Tanto infuriato era Berlusconi che sia sabato, sia domenica dai palchi di Roma e Milano ha detto chiaro che lui è pronto alle urne. Di più, è proprio lui che chiede di andare al voto subito. Per capire fino in fondo che cosa sta succedendo, basta rivedere l'ultimo fine settimana del Cavaliere. Arriva alla convention dei Caf del Pdl messi in piedi dalla Brambilla. Ci crede poco, è convinto di vedere in sala le seconde linee del partito. E invece si ritrova tutta gente vera, affamata di politica, che crede ancora in lui, lo invoca. Berlusconi, a un certo punto nel backstage, si lascia scappare una confidenza: «Finalmente una manifestazione politica dove non c'erano quei babbioni del partito». Si galvanizza, si carica e nel discorso alza i toni. Poi si mette a girare, vorrebbe salutare tutti i mille convenuti. Esce dal retro, stringe mani. Sale in macchina, la folla non va via, riesce. Saluta, abbraccia, risale in macchina ma quelli ancora non vanno via e lui riesce di nuovo, si lancia nella sua gente. Accusa: «Il Pdl, come altri partiti, è vittima di una inevitabile patologia. Chi è entrato in politica da molti anni e adesso si trova in una posizione di potere, comincia a dare gomitate affinché i concorrenti non gli tolgano il posto. Guarda con preoccupazione e diffidenza i nuovi arrivati, chiude la porta». Al contrario, lui la vorrebbe aprire. Spalancare. Il partito, i colonnelli, le cene e le cenette sono diventate un orribile ostacolo tra il leader e il suo popolo. Non è così, ma questo è il pensiero del Cavaliere. Che non a caso alla manifestazione pro-Moratti snobba i big del suo partito, nessuno di loro viene chiamato al palco al contrario dell'immagine del congresso del Pdl quando iconograficamente Silvio volle dimostrare al Paese come non c'era più solo lui ma un'intera classe dirigente, i suoi uomini e le sue donne. Con loro si consulta ormai sempre meno. C'è addirittura chi, tra le prime linee, deve chiamarlo per chiedere un appuntamento alla segretaria. Per oggi non sono previsti vertici, neppure quello consueto del martedì. Il premier resta ad Arcore tutto il giorno. Pranza e cena con i figli. In mezzo incontri con avvocati e ragionieri. La pausa pasquale aiuterà a raffreddare gli animi. Poi, nelle prossime settimane, si butterà a capofitto nella campagna elettorale. Dirà tutte le forme che vuole fare e giocherà in maniera più netta la carta dell'anti-casta. Già ha cominciato sommessamente l'altro giorno quando ha annunciato: «Dobbiamo ridurre il numero dei parlamentari, è una cosa alienante. Quelli della sinistra sono funzionari di partito. I nostri no, sono professori universitari, professionisti imprenditori che soffrono a restare in Parlamento a votare duecento emendamenti che conosce solo il relatore. Insomma, soffrono a stare lì a non fare nulla». Ridurre i parlamentari, ridurre le spese, ridurre i costi della politica. E, al contrario, tagliare le tasse. Il Cav ormai sente che è iniziata per lui la partita della vita e come tutte le precedenti sogna di giocarla da solo.

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