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di MARCO ANSALDO e YASEMIN TASKIN Il papa perdonò subito il suo attentatore.

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Dalsuo letto d'ospedale al policlinico Gemelli di Roma, Giovanni Paolo II registrò poche parole, trasmesse poco dopo dalla Radio Vaticana. Dalle prime ore della giornata in piazza San Pietro si erano radunate circa quindicimila persone per il consueto appuntamento di preghiera del Regina Coeli. Questo il saluto di Karol Wojtyla nel breve messaggio: «Sia lodato Gesu Cristo. Carissimi fratelli e sorelle, so che in questi giorni, specialmente in quest'ora del Regina Coeli, siete uniti con me. Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico. Sono particolarmente vicino alle due persone ferite insieme con me. Prego per il fratello che mi ha colpito, ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo, sacerdote e vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo. A te, Maria, ripeto: totus tuus ego sum». Un anno prima dell'attentato, in Vaticano erano giunte notizie allarmanti su un progetto che si stava organizzando in Turchia per uccidere il papa. Le aveva ricevute nell'estate del 1980 il gesuita padre Francesco Farusi, allora direttore del Radiogiornale Vaticano. Il religioso parlò di voci sulla preparazione di un attentato in un'intervista alla televisione privata abruzzese Atv Sette, di proprietà della famiglia Spallone. Ma quando, dopo il ferimento del pontefice, si andò a cercare la videocassetta con la registrazione del testo, non se ne trovò più traccia. La vicenda, piuttosto misteriosa, e accennata dal giornalista Angelo Montonati nel libro «Dario Spallone, un comunista anomalo». Il protagonista di quella biografia, medico che ebbe tra i suoi pazienti i piu alti dirigenti del Partito comunista italiano, diversi ministri della Democrazia cristiana, e anche i gesuiti della rivista «La Civilta Cattolica» e della Radio Vaticana, scrisse che padre Farusi, al ritorno da un viaggio in Turchia, aveva dichiarato all'emittente nel 1980 che un gruppo di Lupi grigi, scarcerati da poco, stava preparando atti di terrorismo contro il Vaticano e il papa. A quell'informazione, del resto priva di ulteriori dati, i responsabili della sicurezza nella Santa Sede non diedero eccessivo peso. Un altro dettaglio importante, rimasto irrisolto fino a oggi, riguarda un misterioso fatto verificatosi nei giorni immediatamente precedenti l'agguato. Una questione rimasta aperta nonostante le fotografie che vennero scattate sul posto. Il 10 maggio infatti, tre giorni prima dell'attentato, Giovanni Paolo II compì una visita nella parrocchia romana di San Tommaso d'Aquino. Nelle immagini portate dai fedeli ai giudici e alla polizia dopo quel che accadde il giorno 13, a molti sembro di riconoscere Mehmet Ali Agca tra i presenti. La figura del Lupo grigio pareva non solo mischiarsi in mezzo al pubblico, a pochi metri dal pontefice, ma risultava immortalata piu volte. Addirittura uno dei parrocchiani incaricato di scattare le foto aggiunse che la sera stessa si era presentato a casa sua un poliziotto, al quale dovette consegnare le immagini, senza che fosse redatto un verbale, e con la raccomandazione di non parlare del fatto a nessuno. Agca non seppe dire come trascorse il pomeriggio del 10 maggio e una di quelle immagini fu pubblicata sul settimanale «Oggi». A indurre l'autorità giudiziaria a continuare le indagini fu la posizione dell'uomo della fotografia. Solo tre o quattro metri di distanza dal papa, in un'area cui si poteva accedere solo su invito. Il parroco di San Tommaso, don Todini, spiego che «le procedure di accesso a quegli spazi erano particolarmente rigorose e venivano controllate sia dai parrocchiani addetti che dagli incaricati della sicurezza della Santa Sede». E che i permessi di accesso «erano rilasciati» aggiunse don Todini «solo dalla parrocchia e dalla prefettura pontificia». Nella vicenda entrò qualche anno dopo anche Ercole Orlandi, il padre di Emanuela, la ragazza scomparsa a Roma il 22 giugno 1983, e la cui storia e stata legata, pur tra dubbi, a unfeventuale liberazione di Agca. Orlandi, cittadino vaticano, ricopriva infatti il ruolo di messo papale, e lavorava per la Casa pontificia che si occupava fra le altre cose degli inviti alle udienze papali pubbliche e private. Ascoltato dagli inquirenti, ricordò di aver mandato proprio per la visita del Santo Padre alla parrocchia di San Tommaso «due inviti individuali all'Hotel Isa di via Cicerone». Lo stesso di Agca. L'episodio suscitò diversi interrogativi. Come era riuscito Agca, e soprattutto attraverso quali canali, a ottenere l'accesso a un'area strettamente riservata? E perche non colpì in quel luogo, visto che si trovava a pochi metri dall'obiettivo, e che la sua fuga sarebbe stata di sicuro meno problematica rispetto al piano studiato per piazza San Pietro? Forse, si ipotizzo, perche aveva potuto fare un sopralluogo, più per studiare la vigilanza attorno al pontefice che sul posto in se. O forse perche un attacco così manifesto e brutale contro il capo della Chiesa di Roma non andava compiuto in un posto sacro qualsiasi, ma proprio nel luogo simbolo della cristianità. Esaurito dunque il momento di shock furono molte le ipotesi che si scatenarono in tutto il mondo, nei mesi e anni a venire, su chi davvero avesse armato la mano di Agca. Dei Lupi grigi si e detto. Nella Turchia a cavallo del suo colpo di Stato piu sanguinoso, quello del 1980, esisteva allora una insana convergenza di interessi tra la parte piu spregiudicata degli apparati di sicurezza e la mafia dedita a traffici di droga e contrabbando di armi. Dove il gruppo degli ultranazionalisti costituiva un braccio armato utilissimo da giocare tanto all'interno quanto all'estero. Ampliando la prospettiva al quadro europeo e internazionale, la Turchia di quegli anni era un crocevia interessante, un Paese saldamente legato allfOccidente, la cui immagine era tuttavia oscurata da aspetti inquietanti: da un lato fermo bastione della NATO nel quadrante sudorientale dei Balcani, a difesa degli interessi contrapposti a quelli del Patto di Varsavia e all'Unione Sovietica; ma dall'altro un Paese in preda a pericolosi sommovimenti interni, che lo portavano a dialogare, anzi proprio a infiltrarsi, all'interno del blocco socialista, nella confinante Bulgaria, dove organizzazioni persino di estrema destra trovavano collaborazione e assistenza capaci di oltrepassare qualsiasi barriera ideologica, pur di concludere affari lucrosissimi. La situazione internazionale globale viveva un momento geopolitico estremamente complesso e articolato. Dopo il golpe ultraconservatore in Cile, la sconfitta statunitense in Vietnam, l'allontanamento dei colonnelli in Grecia, la fine del lungo regime dittatoriale in Portogallo, dopo quegli anni di grandi rivolgimenti su più scacchieri regionali, all'interno dell'Alleanza atlantica la strategia verso il blocco sovietico si era irrigidita. Con la sconfitta di Jimmy Carter dovuta in gran parte alla crisi degli ostaggi americani in Iran, alla Casa Bianca era arrivato il momento del repubblicano Ronald Reagan e di una politica di aspra contesa con l'URSS, classificata come Impero del male. In Europa c'era tuttavia chi cercava il dialogo con l'Est. La Germania, con la Ostpolitik, la politica di normalizzazione dei rapporti con l'intero complesso sovietico, del cancelliere Willy Brandt. E, con metodo diverso, eppure convergente sul medesimo obiettivo, il Vaticano, negli approcci non sempre coincidenti di Giovanni Paolo II, incline su questo tema a una tattica piu ruvida, e del segretario di Stato, Agostino Casaroli, piu duttile. Da notare che Wojtyla aveva avuto il coraggio e l'intelligenza di mettere accanto a se un uomo non a lui vicino, imponendolo come suo «primo ministro» per affrontare quelle complesse problematiche globali con il più ampio spazio dialettico. Al centro di questa evoluzione si trovava la Polonia, terra natale del pontefice. Dove a Varsavia regnava il regime filosovietico di Gierek, ma in cui c'era anche la forte presenza della Chiesa guidata dal cardinale Wyszynski, e stava sorgendo in modo prorompente il fenomeno del sindacato operaio Solidarnosc. C'era inoltre il laboratorio Cracovia, creato dal giovane Wojtyla negli anni della Guerra fredda: non era stato un caso se nel 1963, come nuovo arcivescovo della citta culla del cattolicesimo polacco, era arrivato proprio l'ex operaio e attore al Teatro rapsodico di Wadowice, Karol Wojtyla. E una volta eletto papa, alla morte del cardinale Jean Marie Villot, Giovanni Paolo II aveva scelto come braccio destro, alla Segreteria di Stato, un uomo le cui idee in materia di politica estera non collimavano propriamente con le sue, Agostino Casaroli. Il grande diplomatico vaticano, fautore della partecipazione della Santa Sede alla conferenza di Helsinki per un piu giusto ordine economico mondiale, della fine della corsa agli armamenti, per lo sviluppo di migliori rapporti economici, culturali e umani fra Est e Ovest, divenne il principale protagonista della Ostpolitik promossa dalla Chiesa, con una cauta ma netta politica di apertura verso i Paesi comunisti dell'Europa orientale, finendo per rafforzade gli sforzi del papa in quella direzione. Dopo i giorni pieni di ansia dell'attentato, Giovanni Paolo II concluse la convalescenza e tornò in Vaticano alla meta di ottobre: era l'ombra di se stesso, nonostante la forte tempra. Rimarrà segnato per sempre, nel corpo e nello spirito, da quell'evento traumatico che lo fece invecchiare di colpo. Nel libro Wojtyla segreto Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti scrivono che «secondo una voce proveniente dal suo entourage, il Santo Padre era consapevole che la regia dell'attentato» potesse essere in Vaticano, o che tra le Sacre Mura potesse esservi stata «qualche connivenza con gli attentatori», e che il fatto potesse essere collegato «allo scontro interno alla curia e alla sua decisione di elevare l'Opus Dei a prelatura personale». Ed è forse per questo, si sostiene, che accettò «una "speciale protezione" opusiana, di lì a poco visibile nella persona del capitano della Guardia svizzera Alois Estermann, nuova guardia del corpo del pontefice». Nei dicasteri curiali si mormorava addirittura che «il Santo Padre - ancora scioccato dall'attentato subito - fosse tormentato da una umanissima paura. Wojtyla si dibatteva perciò tra le difficoltà di una convalescenza problematica, le preoccupazioni per la situazione in Polonia e lo scontro interno tra la fazione opusiana (che reclamava maggiore potere) e quella curiale alle prese col caso IOR-Ambrosiano». Estermann era gia al servizio del papa e, come mostrano tutte le immagini seguenti agli spari in piazza, fu lesto a sorreggerlo, insieme all'assistente papale don Stanislao e l'ispettore di polizia presso il Vaticano, Francesco Pasanisi, quando il pontefice si accasciò colpito da Agca. Il capo della Guardia svizzera verrà trovato morto, ucciso da colpi d'arma da fuoco, nel suo appartamento allfinterno dei sacri palazzi, il 4 maggio 1998, accanto ai corpi della moglie Gladys Meza Romero, funzionaria presso l'ambasciata del Venezuela, e del suo sottoposto, Cedric Tornay, in un delitto tuttora irrisolto.

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