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L'ombra di Scalfaro dietro Capriotti

Oscar Luigi Scalfaro

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Ci sono date, documenti, incontri. Ma i ricordi stentano a riaffiorare. La stagione della stragi del 1992-1993 continua ad essere un grosso punto interrogativo sulle pagine della storia di Italia. Un punto interrogativo che nemmeno l'audizione di Adalberto Capriotti, ieri ascoltato dalla commissione Antimafia, sembra in grado di chiarire. Capriotti ha oggi 88 anni. Nel 1993, alla vigilia del suo settantesimo compleanno, venne nominato a capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Era il 4 giugno. Il 26 firmò un documento (pubblicato dal Tempo il 25 marzo scorso ndr) nel quale si suggeriva, come «segnale di distensione», di diminuire del 10% il numero dei boss sottoposti al carcere duro del 41 bis e di revocare il regime speciale per le figure di secondo piano. Il suggerimento era indirizzato a Giovanni Conso, ministro della Giustizia di allora, che lo raccolse. A novembre non rinnovò il 41 bis per 140 detenuti. Dopo quel provvedimento, le bombe smisero di esplodere. Insomma i dubbi e le domande sono molte: da dove nasce l'appunto di Capriotti? Chi ne era a conoscenza? Dietro quel suggerimento c'era la consapevolezza di compiere un gesto «gradito» alla mafia? L'audizione di ieri non ha fornito risposte. La seduta è stata secretata, soprattutto quando si è fatto esplicito riferimento alla nota del '93. Ma Amedeo Laboccetta, deputato del Pdl e membro della commissione Antimafia, sorride quando gli si chiede di svelare qualche retroscena: «Non c'era niente da secretare. Tutto ciò che è stato detto è già pubblico». Capriotti, infatti, avrebbe alternato i «non so» e i «non ricordo» con qualche incerta spiegazione. Come quella sull'appunto che lui si sarebbe semplicemente limitato a firmare. Altri, avrebbe spiegato, furono i «compilatori» di quel documento. Altri che, però, sono morti. Di certo, trattandosi di un argomento così delicato, è curioso che il capo del Dap non abbia approfondito la questione. Su un punto, però, la vaghezza di Capriotti si sarebbe leggermente incrinata: il suo rapporto con l'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Monsignor Fabio Fabbri, segretario monsignor Cesare Curioni (carissimo amico di Scalfaro e cappellano prima a San Vittore e poi a Regina Coeli), ha recentemente raccontato che fu il presidente a chiedere a «don Cesare», durante un incontro al Quirinale, di indicare un nome per sostituire l'allora responsabile del Dap, non gradito a Scalfaro, Nicolò Amato. Curioni e Fabbri fecero il nome di Capriotti. E Conso lo nominò subito. «Ho letto a Capriotti - racconta Laboccetta - l'intervista rilasciata recentemente da monsignor Fabbri. E lui, a mezza bocca, ha ammesso un rapporto con Scalfaro». Il che non è una prova, ma apre ad altre mille domande. Tipo: cosa si dissero Scalfaro e Capriotti il 22 giugno 1993, quattro giorni prima della firma della famigerata nota, quando si incontrarono al Quirinale? Le risposte, forse, le darà direttamente il presidente quando sarà ascoltato dall'Antimafia. Il Pdl aspetta che l'audizione venga calendarizzata.

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