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E CasaPound teme l'ombra della mala

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.Ma il timore è forte. Dietro l'agguato al loro vice presidente Andrea Antonini c'è la «mala». È l'opinione più diffusa tra le stanze della sede di CasaPound. In via Napoleaone III molti sono coinvinti «che, magari non volendo, abbiamo toccato gli interessi della criminalità organizzata». Andrea Antonini, il giorno dopo il fatto, entra zoppicante nella sala allestita per i giornalisti al sesto piano della sede del movimento. Scarpe da ginnastica, pantalone felpato della A.S. Roma e maglioncino stretto girocollo avanza accecato dai flash dei fotografi. I suoi ragazzi gli fanno largo. Lui li saluta tutti con la stretta di mano, tipica dei camerata, che ti avvolge l'avambraccio anziché il palmo. «Sto bene, sto bene». Poi si siede al tavolo con l'altro vice, Simone Di Stefano, e il consigliere comunale Federico Guidi (Pdl). S'accendono le spie rosse delle telecamere. E partono le dichiarazioni. Quelle ufficiali. «È stato un atto vigliacco - dice Antonini che è anche consigliere al Municipio XX - accaduto perché facciamo politica attiva da tanti anni e in tanti settori. A qualcuno questo non sta bene. Ma non abbiamo idea di chi sia e in quale contesto sia maturato l'agguato. Noi continueremo comunque a fare le nostre attività come ieri. Saranno gli inquirenti a trovare la verità. Noi sappiamo solo che non è opportuno gettare benzina sul fuoco». I suoi ragazzi in sala lo applaudono. Ci sono tutti. Compreso il numero uno dei giovani, Francesco Polacchi, a capo di Blocco Studentesco. Il leader di Casapound ricostruisce i momenti dello sparo. Racconta che «hanno usato una pistola e hanno colpito da una distanza di circa un metro. Non hanno detto nulla e non li ho visti in faccia perché avevano il volto coperto da casco». «Sono convinto che il movente sia politico e non legato a vicende personali». La spia della telecamera si spegne. I giornalisti si dileguano. Ma, come prima della conferenza stampa, torna a soffiare tra i corridoi l'ipotesi che a colpire sia stata la criminalità. I militanti di CasaPound sono convinti che «i gruppi antifascisti non c'entrano in questa storia. Non sarebbero in grado di organizzarsi per fare una cosa simile». Senza contare che, almeno fino a oggi, non è arrivata alcuna rivendicazione dell'attentato ad Antonini. I «compagni», insomma, non si sono fatti sentire. Anzi, in Internet tra blog e siti web si scambiano commenti in cui fanno capire che non c'entrano. Anche le discussioni su indymedia.org (tra i domini più utilizzati dai frequentatori dei centri sociali) spingono sulla probabile azione contro CasaPound da parte della criminalità. E poi c'è la modalità dell'agguato. Succede tutto in poco tempo. Arrivano in motorino. Due «botte» alle gambe e subito via. Come fosse un avvertimento, o una punizione. Un gesto tipico mafioso. I ragazzi di CasaPound ne parlano tra loro. Si confrontano. Cercano di tornare indietro con la mente, scavando tra le pieghe delle loro azioni per capire se possano mai aver toccato interessi di chi, oggi, avrebbe potuto inviare dei «sicari» per un avvertimento. I dubbi restano. Eppure lo stesso Antonini in conferenza stampa lascia trapelare qualcosa in merito: «Le nostre attività avvengono in vari modi e toccano tanti settori, da quello della casa, fino alle discariche abusive. All'interno di questi settori non possiamo escludere che ci sia qualcuno, o qualcosa, con grossi interessi». Sarà la magistratura a dire chi ha premuto il grilletto. Di sicuro, però, per i militanti non è un regolamento interno a Casapound, come alcuni hanno ipotizzato, o un gesto da brigatisti. Nelle stanze di via Napoleone III l'ombra che si allunga sull'agguato ad Antonini prende sempre più la forma della malavita.

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