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In campo per l'Italia non per se stesso

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Luca Cordero di Montezemolo

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A chi dobbiamo il ripristino dei fondi pubblici a favore dello spettacolo e della cultura? Non certo all'ex ministro, Sandro Bondi, poeta del vuoto che resterà alla cronaca anche per aver riconosciuto con lettera personale al governatore Luis Durnwalder, quello che s'è rifiutato di celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia, la possibilità di intervenire sul patrimonio della storia e della cultura italiane in Alto Adige! Il sussulto di dignità del governo è stato reso possibile grazie al Maestro Riccardo Muti: ha alzato la bacchetta, ha detto la verità sui «tagli ignominiosi», ha fatto cantare il Va' pensiero al pubblico per liberare l'Italia dall'incompetenza, e il risultato è arrivato. Il «modello-Muti» mi serve, caro direttore, per aggiungere qualche considerazione a quelle impeccabili che hai già fatto sulla «discesa in campo» vera, presunta o desunta di Luca Cordero di Montezemolo. Non so se il presidente della Ferrari all'ultimo giro della legislatura (ma quando?), deciderà di sorpassarli tutti, anche se da italiano disgustato dallo spettacolo avvilente sulla scena, me lo auguro per elementare senso di civismo. Ma so che, se lo farà, lo farà all'insegna del modello-Muti, cioè esortando ed esaltando i connazionali che non fanno politica, ma che fanno grande l'Italia, a impegnarsi, finalmente, per il bene della nazione. Il contributo maggiore che Luca-Luca – come lo chiamano quelle pesti di «Striscia la notizia» – potrà infatti dare e, secondo me, darebbe, non sarà né la sua esperienza di vincente in campo internazionale, né la sua professionalità in ambito industriale: utili, peraltro, entrambe. Viceversa, pochi come Montezemolo potrebbero dar vita a quelle rete trasversale, fatta di donne e uomini che valgono oltre le appartenenze politiche – il modello Muti, appunto – ma che finora si sono tenuti colpevolmente distanti dal Palazzo. Dal «ghe pensi mi» al «ghe pensiamo noi»: questo dev'essere l'auspicio, perché soltanto mettendo insieme il meglio del Paese, solamente capendo che il mosaico Italia per splendere ha bisogno d'ogni eccellenza, d'ogni impegno, d'ogni tessera della cosiddetta società civile, potremmo parlare di svolta. In quel caso – concordo, direttore – Montezemolo potrà passare per quello che ha sepolto la seconda Repubblica «a sua insaputa», tanto per citare il celeberrimo motto che descrive così bene il nostro tempo. Il tempo di una classe politica che ha fatto il suo tempo. Questa destra e questa sinistra sono fallite non già per le prove inconsistenti che, a turno, hanno mirabilmente offerto al governo, ma perché sono segnate dall'anacronismo generazionale: persone che hanno passato l'intera loro esistenza a raccontarci la favola dell'orso. Ci abbiamo pure creduto, chi in un modo, chi nell'altro, perché gli italiani sono sempre portati, da persone intelligenti e generose, a dare fiducia agli altri, nonostante il cinismo che, solo a parole, professano. Ma nessuno dei grandi leader dell'Occidente ha superato il quindicennio sulla vetta, da Helmut Kohl a Tony Blair, da François Mitterrand a Margaret Thatcher, da José María Aznar all'altro e opposto José, quel Zapatero che ha già annunciato l'addio alle armi ad appena cinquantun anni. Ogni svolta non solo prevede, ma impone il cambio dei volti, reclama quel «qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico» che Pascoli ha immortalato in versi. Montezemolo scenda in campo, allora. Ma non per lui, appagato dalla vita e dai successi. Lo faccia, più modestamente, per noi.

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