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Africa e arabi si affidano a Erdogan

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.Il premier turco arriva oggi a Londra consapevole di essere l'ago della bilancia. Soprattutto, ha dalla sua due successi ottenuti sul campo senza sparare un colpo. Il primo è stato aver ottenuto la liberazione di quattro reporter americani. Il secondo è la gestione dell'aeroporto di Bengasi per facilitare il trasporto di aiuti umanitari in Libia. Entrambe le mosse hanno fatto guadagnare alla Turchia il sostegno di Washington, sempre più convinta a non voler essere trascinata in un nuovo conflitto. Il premier Recep Tayyip Erdogan ha spiegato la posizione del suo Paese in un'intervista al Guardian. La Turchia è pronta a svolgere un ruolo di mediazione tra il leader libico Muammar Gheddafi e i ribelli del Consiglio nazionale transitorio con sede a Bengasi. Quando verrà richiesto, «ci adoperermo in questo senso», ha speigato Erdogan, nel quadro della Nato, della Lega Araba e dell'Unione Africana. «Non possiamo ignorare la richiesta di diritti democratici e di libertà da parte del popolo della Libia e il cambiamento non può essere ritardato o rimandato», ha sottolineato Erdogan. Perché il rischio da scongiurare, ha proseguito, è che il Paese Nordafricano si trasformi in «un altro Iraq» o in un «altro Afghanistan», con «effetti devastanti per tutti i Paesi coinvolti, non solo per la Libia». Erdogan ha spiegato di aver avuto contatti con il primo ministro libico dopo il lancio di raid internazionali sulla Libia e il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu è in contatto con l'opposizione che ha sede a Bengasi. L'interventismo di Ankara non si ferma alla questione libica. Da giorni il premier turco è in contatto con la Siria per cercare di convincere il presidente Assad a evitare di impantanarsi in una rivolta dalle conseguenze inimmaginabili. È stato Erdogana a consigliare il giovane Assad di chiudere lo «stato di emergenza» e avviare le riforme. Il ministero degli Esteri di Ankara ha specificato che «La Turchia non è al fianco di Assad, ma è al fianco della Siria, al momento non siamo in contatto con l'opposizione perché crediamo che la situazione possa tornare sotto controllo». Però, dalla capitale turca sono sicuri che le riforme siano sul tavolo e il governo di Bashar Assad sia determinato a portarle avanti. «A questo stadio noi crediamo che la crisi possa ancora essere risolta concedendo le riforme che il popolo chiede», ha voluto specificare il governo turco. In questa offensiva diplomatica di Ankara non può essere tralasciato il fatto che ieri il premeir Erdogan fosse a Baghdad dove ha incontrato Al Maliki. Si è parlato soprattuto di rapporti bilaterali e di energia. Ma Erdogan ha incassato l'appoggio di Baghdad, oggi presente al summit di Londra, al suo tentativo di mediazione in Libia.

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