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Carceri speciali e tortura pilastri del regime

Vittime a Daraa nel sud della Siria

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Sednaya, il suo nome viene pronunciato sottovoce dai siriani. È la prigione di Damasco dove finiscono gli oppositori del regime. Un carcere di massima sicurezza che si trova nei pressi di una nota località cristiana sede di uno dei monasteri più antichi e luogo di pellegrinaggio dei cristiani di tutto il Medio Oriente, ma il cui nome è drammaticamente legato al penitenziario. Tanto che il termine «prigione di Sednaya» evoca, appunto, terrore in tutti i siriani. È stata edificata nel 1987 per volere di Hazif Assad e doveva accogliere normalmente 5.000 detenuti che però salgono fino a 10.000 quando è gremita all'inverosimile. La maggioranza dei prigionieri è costituita da fondamentalisti islamici. Da qui, ieri, Assad ha fatto liberare 200 detenuti sospettati di appartenere ad Al Qaeda. Una mossa simile a quella fatta da Gheddafi all'inizio delle proteste. Ma poi una fonte del governo ha smentito. Ma Sednaya non è l'unica prigione dove «spariscono» gli oppositori. Sul finire degli anni Ottanta il regime fece costruire tutta una serie di carceri di massima sicurezza. A riempirle ci pensa l'apparato di sicurezza messo in piedi dal vecchio Assad e mai smantellato. Tutt'altro. Sono quattro agenzie di intelligence. L'Idarat al-Amn al-Siyasi la polizia politica vera e propria che scheda oppositori. C'è, poi, l'Idarat al-Amn al-'Amm: divisa in tre branche è responsabile della sorveglianza interna della popolazione in generale; un'altra divisione si occupa della sicurezza esterna.  La terza tiene d'occhio l'attività dei gruppi palestinesi in Siria e Libano. Il Shu'bat al-Mukhabarat al-'Askariyya è il servizio segreto militare propriamente detto, ma anche questo è utilizzato per tenere sotto pressione la popolazione. Il vecchio Hafiz Assad aveva, poi, affidato al servizio segreto dell'Aeronautica, arma alla quale apparteneva, i compiti più delicati. All'Idaratal-Mukhabarat al-Jawiyya è da sempre delegato il ruolo di infiltrare i gruppi islamisti e dell'opposizione. I servizi occidentali ritengono che agli 007 della Al Jawiyya siano affidati anche i contatti con il terrorismo internazionale. A fianco di questi opera la polizia che fa largo uso della tortura e degli arresti arbitrari per mantenere l'ordine del regime. L'esercito, poi, nonostante le speranze di Washington, è molto legato ad Assad perché sia i militari sia gli uomini di regime appartengono alla minoranza alawita, dunque sciita, che governa un Paese a maggioranza sunnita. Dal Monte Kassioun, la famiglia Assad domina Damasco, rinchiuso nel suo palazzo fortezza, protetto da un apparato che è stato colto alla sprovvista dalle proteste ed è stato costretto a ricorrere alla violenza più cieca. Arrestando bambini e poi sparando sulla folla. La colpa è finita sulla polizia. I vari Mukhabrat sono troppo impegnati a spiarsi l'un l'altro in una guerra di nomine e di favori senza fine. Il presidente, lassù nel castello di Kassioun, appassionato di internet, spia sui blog le proteste. Ascolta i rapporti e forse spera nel cambiamento, ostaggio com'è, anche lui, di un regime costruito dal padre.

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