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La figura beduina del Pd di Bersani

Pierluigi Bersani

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C'è qualcuno in Italia che riesce a stare politicamente peggio di Gheddafi, ed anche di Sarkozy. Che è piombato sulla risoluzione, peraltro tardiva, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro il dittatore libico con una smania e un'approssimazione tali da comprometterne forse una corretta e soprattutto efficace applicazione. A infilarsi in una posizione ancora peggiore è riuscito da noi il principale partito di opposizione. Che, come al solito, ha cercato di utilizzare a bassi fini di politica interna una complessa, ed anche confusa, vicenda internazionale scommettendo sulla rottura della maggioranza e sulla conseguente crisi ministeriale. E ciò per effetto del dissenso espresso a botta calda dalla Lega sulla partecipazione dell'Italia alle operazioni militari in corso sulla Libia. Dopo avere scambiato per un no assoluto la mancata partecipazione dei leghisti alla votazione conclusiva del dibattito svoltosi venerdì scorso nella riunione congiunta delle competenti commissioni parlamentari, presidente, segretario, vice segretario del Pd e giù giù sino ai loro autisti e uscieri hanno denunciato la "inadeguatezza" e la "irresponsabilità" del governo. Che non ha certamente dato le migliori dimostrazioni di chiarezza e di prontezza di riflessi, per carità, specie se pensiamo alle assai discutibili prestazioni televisive del ministro della Difesa Ignazio La Russa, pur apprezzabile sotto altri aspetti, ma non si è certamente trovato di fronte ad uno straccio di linea o di soluzione alternativa da parte dell'opposizione. Anzi, quando si è trattato di votare in sede parlamentare di commissione, il Pd non ha potuto fare a meno di sostenere la posizione assunta dal governo alla vigilia del vertice di Parigi organizzato in tutta fretta da Sarkozy. Ha solo contestato la non partecipazione dei leghisti alla votazione, prendendosela però non tanto con loro ma con Silvio Berlusconi, che pure ha dimostrato in questa circostanza di non lasciarsi paralizzare dal Carroccio. Egli ha cioè smentito l'immagine caricaturale del cagnolino al guinzaglio di Umberto Bossi affibbiatagli dagli avversari. Il fatto è che i compagni di Pier Luigi Bersani, e di quel supponentone di Massimo D'Alema, da mesi fanno la corte alla Lega, di notte e di giorno, perché si decida a rompere con il Cavaliere e a provocare la crisi che alle opposizioni non è riuscita neppure con l'aiuto degli uomini, delle donne e della seggiola del presidente della Camera Gianfranco Fini, per non parlare delle salmerie giudiziarie. La possibilità, che si è concretizzata ieri, di un voto unitario della maggioranza a conclusione dei dibattiti sulla crisi libica in programma oggi e domani nelle aule, rispettivamente, del Senato e della Camera, ha per l'ennesima volta deluso e spiazzato il Pd. La cui segreteria ha ridicolmente ritenuto di potersi rifare diffondendo un comunicato tanto duro quanto inconsistente contro il governo, accusato di "allarmante irrilevanza nelle sedi europee ed internazionali", di "caduta drammatica di ruolo" e di altre insensatezze che hanno, fra l'altro, un duplice torto. Il primo è di contribuire ad aumentare la confusione, e quindi a indebolire il Paese. Il secondo è di smentire l'azione di sostanziale e responsabile fiancheggiamento del governo svolta in questo importante passaggio politico dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che non sarà certamente entusiasta dei suoi ex compagni di partito, incapaci di guardare più lontano del proprio miserevole naso.  

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