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Obama vuole passare la "patata bollente"

G8, Barack Obama, stringe la mano a Muammar al-Gheddafi

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Continuano i bombardamenti sulla Libia, ma l'impressione è che la battaglia più dura si giochi altrove, sui tavoli della diplomazia internazionale. Dove distinguo, accelerazioni e frenate condizionano il proseguimento dell'operazione militare. E se la Francia si mostra determinata a non retrocedere, dall'altra parte dell'Atlantico il governo americano sembra piuttosto ansioso di cedere il proscenio a qualcun'altro. Da San Pietroburgo, dove si trova in visita, il segretario alla Difesa Robert Gates spiega che sebbene gli Usa abbiano «svolto un rilevante ruolo nei primi due o tre giorni mi aspetto che recederemo molto presto ad un ruolo di sostegno, mentre altre nazioni assumeranno una significativa porzione dell'onere di imporre la no-fly zone». Sulla stessa lunghezza d'onda Obama che in una lettera indirizzata al Congresso ribadisce: «Cercheremo una rapida, ma responsabile transizione delle operazioni alla coalizione o ad organizzazioni internazionali che siano in misura di proseguire le attività come potrebbe essere necessario». Il nodo è proprio questo e tutto sembra ruotare attorno alla possibilità o meno di coinvolgere la Nato nel conflitto libico. Per il presidente americano l'Alleanza atlantica «verrà coinvolta nel coordinamento» delle future operazioni. E comunque, aggiunge, il passaggio alla seconda fase sarà «una questione di giorni, non di settimane». Il che non significa certo un disimpegno. La posizione Usa, assicura Obama, resta sempre la stessa: «Gheddafi deve andarsene». Anche se dal Dipartimento di Stato si spiega che questo «è l'obiettivo ultimo degli Stati Uniti». Più dura la posizione di Londra dove il premier David Cameron, parlando alla Camera dei Comuni, assicura che «sta esclusivamente ai libici scegliere il loro futuro. E con Gheddafi al potere non c'è futuro per il popolo libico». Il primo ministro inglese resta però convinto dell'opportunità che col tempo «il comando e controllo dell'operazione» deve passare alla Nato. Distinguendosi così sia dagli Usa che dalla Francia. E il governo di Parigi, tramite il ministro degli Esteri Alain Juppe, fa sapere che la Lega araba «non vuole» che l'operazione «sia posta interamente sotto comando Nato» che, al contrario, «entro pochi giorni» sarà «disponibile» a sostenere l'intervento di «volenterosi». In ogni caso il segretario generale della Lega araba Amr Moussa, dopo un faccia a faccia al Cairo con il suo omologo dell'Onu Ban Ki-moon (che all'uscita è stato contestato da sostenitori di Gheddafi), spiega che l'organizzazione rispetta «la risoluzione del Consiglio di sicurezza» e continuerà a «lavorare per proteggere i civili. Esortiamo tutti a tenerne conto in qualsiasi azione militare». Con Moussa si schierano i governi del Qatar e degli Emirati arabi («si tratta di proteggere il popolo dallo spargimento di sangue»). Mentre il presidente sudafricano Jacob Zuma, membro del comitato dell'Unione Africana incaricato di mediare sulla crisi libica, invita ad evitare l'uccisione di civili, la «dottrina di un cambiamento di regime» e «l'occupazione della Libia da parte di stranieri».

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