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Gheddafi divide i comunisti

Gheddafi in una foto d'archivio

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Crisi di coscienza al "Manifesto", "quotidiano comunista"? Rossana Rossanda, antica pasionaria comunista - sempre in rotta col Partito, ma sempre dentro lo schieramento - ha sentenziato: «Al "Manifesto" non riesce di dire che la Libia di Gheddafi non è né una democrazia, né uno Stato progressista, e che il tentativo di rivolta in corso si oppone a un clan familiare del quale si augura la caduta». Valentino Parlato è la pietra dello scandalo. Non c'entra l'inviato in Libia, "perfetto", annota Rossanda, qui il nodo è di quelli che strangolano. Parlato scrive prefazioni apologetiche a libri scritti dal Raìs, altro che storie. La comunista gentile perde le staffe, ma non deve prendersela con il compagno di mille battaglie, Valentino, comunista "laico" e integralista, per così dire; deve fare i conti, per dirla con Gramsci, con la sua storia e staccarsi un bel po' di epidermide dalla carne. Il marxismo prescrive che Parlato abbia ragione, punto. Perché il vecchio scienziato della "critica dell'economia politica" e fondatore della setta dei "rivoluzionari di professione", Karl Marx di Treviri, ha sempre esaltato la forza del colonialismo "borghese", anglosassone soprattutto. Quel colonialismo generava, secondo Marx, le condizioni dei grandi mutamenti mondiali, una sorta di globalizzazione in nuce, dunque poteva essere cavalcato. Le sue contraddizioni sarebbero esplose e tutto avrebbe condotto verso il "bel sol dell'avvenire" diffuso in ogni angolo del mondo. Il comunismo è internazionalista e, nello stesso tempo, si interessa ad ogni protagonista, foss'anche un emerito bandito, capace di fare le bucce ai dominatori occidentali. Gheddafi va benissimo, allora, ergo: Parlato ha ragione ed ha molte ragioni oggettive e marxisticamente perfette dalla sua parte. Gheddafi la "carta del matto" che, con Chesterton, "ha perso tutto tranne la ragione": chi meglio di lui per costruire un socialismo nazionale post-colonialista? E ancora: facendo saltare all'aria il sistema tribale, reazionario e decisamente contro la modernizzazione della nazione? Questo è Gheddafi, nell'ottica marxista, e se leggiamo l'intervista dello storico Del Boca, pubblicata alcuni giorni fa su questo giornale, il Colonnello ha toccato molti cuori, non solo invasi dalla fede nel marxismo. La sinistra ha perso così la bussola, perché questa diatriba è vecchia, non antica, perché questo almeno interesserebbe gli storici di professione, ma puro vintage senza più mercato (neppure rionale). La sinistra è oggi più nichilista che mai, devastata dalla fine delle grandi narrazioni, mai elaborata e strumentalizzata in ottica soprattutto anti-socialista. La sinistra è finita ad Hammamet, in terra araba, di fronte alla tomba di chi, nel 1986, salvò Gheddafi dalla morte. Parlo di Bettino Craxi. Non c'è, dunque, più storia, ma solo cronaca. E quando la cronaca esaurisce la decenza, come in questi giorni colonizzati dall'idiozia dell'una come dell'altra parte, destra e sinistra, riemerge, avvizzita, la reazionaria insistenza a fare un passo avanti e due indietro: compagni, non c'è più trippa per gatti. A Gheddafi bisognava dire no subito, per salvare gli interessi italiani in terra libica, e le armi avrebbero avuto un altro effetto, in questa congiuntura storica. Ancora tutta da decifrare. Di più. Se, da un lato, la polemichetta sul "Manifesto" apre le cateratte degli orrori intellettuali del comunismo marxista che fu, dall'altro le reazioni della sinistra all'opposizione (a far cosa?) rendono questa passata scenata tra compagni quasi monumentale. Come un carteggio tra vecchi compagni degno di una simpatia notarile. La Libia rappresenta il luogo dell'Ombra della sinistra arcaica e dell'Occidente mercantile che, oggi, in primo luogo l'Italia, non riesce a fare una mossa proattiva di fronte alla fine di un'epoca di monocrazia gestita con cinismo, tutt'altro che toccato da follia, dal Raìs.

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