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Bersani sbaglia tutto e il Pd lo processa

Pierluigi Bersani

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Lo scrittore inglese Aldous Huxley sosteneva che le «uniche persone veramente coerenti sono i morti». Huxley è deceduto nel 1963 e, evidentemente, non ha avuto il piacere di conoscere Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd ha una coerenza e un tempismo invidiabili. Domenica Gianfranco Fini, dal palco del cinema Adriano di Roma, ha detto chiaramente che Fli è alternativa tanto a Silvio Berlusconi quanto alla sinistra, due facce dello stesso neo-conservatorismo. Ieri Bersani, incurante di tutto e di tutti, ha rilanciato dalle pagine di Repubblica: la linea non cambia, nessun passo indietro, l'obiettivo resta quello di realizzare un'alleanza con il Terzo Polo, un patto «tra moderati e progressisti». Le reazioni vanno dal «noi siamo alternativi alla sinistra» di Pier Ferdinando Casini, al «la nostra non è una prospettiva che punta ad un'alleanza con la sinistra, stiamo facendo un'altra cosa» di Benedetto Della Vedova (Fli). Passando per Sel che rinvia al mittente la proposta: un patto con il Terzo Polo adesso significherebbe «consegnare di nuovo l'Italia a Berlusconi» e «sarebbe un'assicurazione sulla vita» per lo stesso premier. Un disastro. E va peggio se si guarda all'interno del recinto del Pd. Non è un segreto, infatti, che una parte significativa dei Democratici non condivida la linea di Bersani. Il malessere si era manifestato palesemente in occasione della direzione nazionale del 13 gennaio. Ma poi, come nella migliore tradizione della sinistra, aveva prevalso l'amore per la «ditta» e da una possibile frattura si era passati ad un'unità di facciata. Negli ultimi giorni, però, sono riemerse le divisioni. Secondo i critici del segretario, fallita la «spallata» a Berlusconi, il partito dovrebbe tornare ad occuparsi di politica senza lanciarsi in iniziative che non producono nulla come quella di raccogliere firme per chiedere le dimissioni del premier (oggi Rosy Bindi le consegnerà a Palazzo Chigi ndr). Non solo, ma anche l'insistenza su un'alleanza che vada da Vendola a Fini, con l'allontanarsi del voto anticipato, comincia ad essere incomprensibile. Così il segretario finisce inevitabilmente sotto processo. Insoddisfatti gli ex Ppi che scalpitano anche sul testamento biologico. Delusi i dalemiani, già sul piede di guerra i veltroniani, stufi di doversi sempre piegare alla regola dell'unanimismo. Non è un caso che la reazione più dura alle parole del leader Pd arrivi dal senatore Enrico Morando: «È legittimo che Bersani riproponga questo schema che è figlio della linea con cui ha vinto il congresso: la priorità delle alleanze sul progetto. Ma non dica che un'altra linea non c'è. Un'altra linea c'è, è pronta ed è la riproposizione del Pd come asse di uno schieramento alternativo al centrodestra. La linea del Lingotto2. Io non sto chiedendo il congresso anticipato. Ma penso che chi non è d'accordo con il segretario debba, pacatamente, organizzarsi. Se Bersani cambia linea sono l'uomo più felice del mondo. Se non lo fa lui, lo farà un altro leader quando sarà tempo». I ben informati dicono che Morando abbia espresso pubblicamente, e con la sua benedizione, ciò che Veltroni pensa in questo momento. Pensieri che l'ex segretario preferisce affidare ai suoi mentre lavora sotto traccia. Il congresso è lontano, ma a maggio si celebrano le amministrative che Bersani ha caricato di un alto valore politico. Il Pd rischia di perdere in diverse città e province che ha governato in questi anni (da Napoli a Rovigo, passando per Gorizia). Succedesse è indubbio che la resa dei conti verrebbe anticipata. E a quel punto Walter dovrebbe decidere se giocarsi in prima persona la partita o se lanciare un nuovo nome. Il «cavallo vincente» potrebbe essere Matteo Renzi che, dopo aver abbandonato i «rottamatori», sta cercando di allargare la sua rete in tutta Italia. Domani, ad esempio, parteciperà ad un incontro organizzato dalla fondazione veltroniana Democratica assieme al sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Contestualmente Movimento Democratico la componente guidata da Veltroni assieme a Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni ha fissato per il 4 aprile un incontro a Roma per discutere, tra le altre cose, di come va cambiata la linea del Pd. L'impressione, insomma, è che il «regno» di Bersani si avvii verso una fine prematura. Forse per questo il segretario è così coerente.

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