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Silvio prende il largo Mai tanto distacco

Umberto Bossi e SIlvio Berlusconi

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Òddio, mi si è ristretta l'opposizione. In due mesi e mezzo gli antiberlusconiani si sono via via ridimensionati. Ormai sono stabilmente intorno a quota 290 voti. Dunque ben lontani dai 316 (la metà dei 630 deputati più uno) necessari per mandare sotto il governo. E pensare che a fine novembre, quando fu presentata la mozione di sfiducia a Berlusconi l'opposizione poteva contare su 317 firme virtuali, scese a 311 al momento del voto reale. Quel 14 dicembre il premier ce la fece per appena tre voti. Sembra un'era geologica fa, e questo dimostra quanto la politica italiana sia capace di impennate o di rovesci nel breve volgere di qualche settimana. Nella fiducia di ieri sera a Montecitorio, infatti, si è registrato il maggior distacco da prima di Natale in una votazione fondamentale per l'esistenza del governo: ben 23 preferenze di scarto. 314 sono stati i sì, 291 i no. Nella relazione sulla Giustizia presentata dal ministro Alfano il 19 gennaio erano 20 (305 sì, 285 no), una settimana dopo sulla mozione di sfiducia al ministro Bondi erano 22 (314 sì, 292 no), stessa distanza un mese dopo, il 25 febbraio sul milleproroghe (309 sì, 287 no). Dunque l'opposizione non ha mai più toccato quota 300 voto. Anzi, si può affermare che stabilmente dieci punti sotto quella soglia. Sono le assenze nel centrosinistra il dato più interessante perché di solito si utilizza il "non presentarsi in aula" per segnalare una disponibilità alla maggioranza, un dissenso dal proprio gruppo, un gesto distensivo o di rottura a seconda dei punti di vista. Le assenze percentualmente più numerose (oltre al Misto) si registrano nel gruppo di Fini: 7,14%. Quindi l'Udc: 5,71%. Infine l'Idv: 4,55%. E veniamo ai nomi. Spiccano per Fli quelli dell'ex ministro Andrea Ronchi e della sua compagna Giulia Cosenza che da poco ha partorito. Non hanno partecipato al voto gli autonomisti siciliani Latteri e Commercio ormai a un passo dall'ingresso ufficiale in maggioranza. Gli altri due dell'Mpa, Lo Monte e Lombardo, non hanno partecipato al voto ma ufficialmente erano in missione e dunque non vengono conteggiati al fine del quorum. Ma il gruppo è ormai spaccato e in rotta anche con il leader, il governatore siciliano Lombardo. Stesso comportamento per i liberaldemocratici che pure avevano tenuto a battesimo il terzo polo: Melchiorre in missione, Tanoni assente. Non s'è fatto vedere il dipietrista Piffari. Come pure non c'erano i democratici Fedi e Merloni. Non hanno risposto alla tradizionale chiama di Montecitorio due udc, Anna Teresa Formisano e l'eletto all'estero Ricardo Merlo, mentre era in missione un altro casiniano di peso, l'ex capogruppo Luca Volontè. Astenuti due svp Brugger e Zeller. Berlusconi, al termine del voto, è gongolante e si presenta con un fazzoletto verde leghista nella pochette: «Sono tranquillo. Sappiamo che ci sono diverse persone in missione e due malati, la maggioranza è di 320». Per i primi si riferiva a Gianfranco Conte e Paolo Russo, per i secondi forse a Abelli e Palumbo. Il Cavaliere ormai considera per acquisiti altri due che non hanno votato. In mattinata, mandando un messaggio alla nuova fondazione di Gramazio, non aveva usato mezzi termini: «Soltanto noi abbiamo un programma concreto per ammodernare l'Italia. E soltanto noi possiamo realizzarlo. Le sinistre sono divise su tutto, non ne sono all'altezza. Come dissi quando sono sceso in campo "le sinistre pretendono di essere cambiate, dicono di essere cambiate, dicono di diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero"». E comunque sono alleati di Fini, suo vero obiettivo, al punto che liquida il suo gruppo come «pochi transfughi che sono andati via».

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