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Il nuovo leader è tra i comici

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Il comico Roberto Benigni

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Se la politica è andata sul pallone, sobbalzando tra le follie dei suoi protagonisti, delle quali proveremo fra poco a fare una lista molto parziale, tanto vale affidare forse le sorti di questo Paese ad un comico. Magari a Roberto Benigni. Che al prezzo di 250 mila euro l'ora, lodevolmente devoluti in beneficenza, è riuscito a divertire dal palco del festival di Sanremo dai 17 ai 20 milioni di italiani, con punte d'ascolto di oltre il 65 per cento. A tanto, pensate un po', non riuscirebbero ad arrivare tutti i partiti insieme se si votasse domani, viste la voglia di astensionismo e la quantità di incerti che registrano i sondaggi, da qualunque parte politica commissionati e usati per adeguare ai loro risultati le tattiche di difesa o di attacco. Non parlo di strategie perché non mi sembra il caso, al punto in cui si sono ridotti un po' tutti, a destra e a sinistra. Parliamo piuttosto delle follie, come dicevo, cominciando l'elenco con quella denunciata dal ministro leghista Roberto Calderoli quando ha detto no, con il suo leader Umberto Bossi, al decreto legge sulla festa del 17 marzo, condivisa anche dal Pd per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Ma la Lega non ha commesso una follia ancora più grande sgambettando in questo modo un governo che pure difende dai ricatti del segretario del maggiore partito d'opposizione Pier Luigi Bersani? Di cui è nota la promessa di facilitare il percorso dei decreti attuativi del federalismo fiscale, particolarmente cari al Carroccio, se Bossi scaricasse Silvio Berlusconi. Bersani, allungando l'elenco delle sue e altrui follie, mostra di non voler rinunciare a corteggiare i leghisti neppure dopo le loro stravaganti proteste contro la festa del 17 marzo e il suo alto valore simbolico. Non a caso egli si è compiaciuto del clamore e delle fantasie scatenate da un improvviso colloquio tra il suo autorevole compagno di partito, o referente, Massimo D'Alema e il leghista Roberto Maroni. Che hanno poi preteso di essere creduti accampando per l'incontro le ragioni «riservate» dei loro incarichi, rispettivamente, di presidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti e di ministro dell'Interno. Così, piuttosto che prendersela con la Lega per difendere la festa del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, il Pd se l'è presa comicamente con il presidente del Consiglio. Che pure questa festa ha sbloccato e permesso. Sempre a proposito di questa festa, è certamente condivisibile la soddisfazione del presidente della Repubblica, che l'aveva fortemente caldeggiata. Ma è curioso che il capo dello Stato abbia voluto esprimere il suo compiacimento, e annesso appello alla concordia nazionale, non con una nota ufficiale, destinata a tutti, ma con una lettera ad un giornale. E, fra tutti quelli che si stampano in Italia, sapete quale ha scelto? La Repubblica, che non è la Gazzetta Ufficiale della omonima istituzione presieduta dal capo dello Stato, ma la nave ammiraglia della flotta di carta, e non solo di carta, in armi contro Berlusconi e il suo governo. Non oso parlare di follia per il riguardo dovuto alla persona e alla figura di Napolitano, ma questa sua decisione un po' rischia di assomigliarle agli occhi di quanti non scambiano il giornale fondato da Eugenio Scalfari per una specie di Bibbia laica. È decisamente una follia politica invece quella che il capo dello Stato ha appena permesso, senza muovergli un sia pur piccolo e indiretto richiamo, al presidente della Camera Gianfranco Fini. Che ha praticamente accusato il presidente del Consiglio, per via del suo potere «mediatico e finanziario», di avere corrotto quei parlamentari che hanno lasciato o stanno lasciando il partito Futuro e Libertà da lui appena messo in acqua con un singolarissimo congresso fondativo. La cui coda, costituita dalla reggenza affidata a Italo Bocchino dal presidente «autosospeso», si è rivelata troppo indigesta all'equipaggio. Eppure proprio a conclusione di quel congresso, in un momento evidentemente di distrazione dalla sua ormai sistematica follia politica, dopo avergli proposto provocatoriamente le loro simultanee dimissioni da presidenti della Camera e del Consiglio, Fini aveva offerto ossigeno al Cavaliere. In particolare, anche a costo di deludere e allarmare i suoi nuovi alleati Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli, nonché Bersani e compagni, egli aveva proposto un anno di sostanziale tregua politica al governo in carica per andare alle elezioni politiche nel 2012, dopo avere completato il percorso dei decreti del federalismo fiscale, istituito il Senato delle autonomie o delle regioni ed avere modificato conseguentemente la legge elettorale. Sembrava una proposta di buon senso, inopportunamente ignorata da Berlusconi, ma evidentemente era anch'essa una follia. O tale è finita per apparire allo stesso Fini quando ha visto il suo partito scivolargli così presto sotto i piedi ed ha ritrovato la propria ragion d'essere nella lotta ossessiva, e spietata, al Cavaliere. Sino a fare concorrenza alla Procura di Milano e ai suoi dintorni, curiosamente affollati di donne dalle quali si reclama vendetta, rigorosamente al femminile, contro il presunto mostro sporcaccione. Ditemi voi se tutta questa non è follia, autentica follia.

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