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Mussolini non aveva torto Governare l'Italia è inutile

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Oancora: «Marina Berlusconi, non conosco Sara Tommasi». Non sappiamo se Rupert Murdoch abbia riservato trattamenti simili a Tony Blair o Barack Obama. Si dirà che loro trascorrono le serate in maniera diversa, ma siamo certi che il problema sia davvero qui? Già: complicato per il Cavaliere occuparsi di cose serie in questo periodo. Anche quando ce la mette tutta. Figuriamoci quando, magari mettendocela tutta, la cosa non gli viene benissimo. Come oggi, e non solo per via dei maligni format dello Squalo. La frustata all'economia è infatti riuscita a metà, il cavallo non si è impennato e men che meno ha preso il galoppo. Il motivo è semplice: accanto a una sfilza di buone intenzioni e ottimi propositi, il governo ha messo sul piatto 100 milioni, quelli del ministro Paolo Romani per la banda larga. Altri 900 o giù di lì sono «attesi» per nuove tecnologie, e altri ancora per infrastrutture. Il resto sono misure giuste ma riesumate, come il piano casa per il quale si annuncia ora un decreto che dovrebbe mettere in riga le regioni. Oppure i fondi alle imprese, che verrebbero suddivisi in tre grandi categorie, la più innovativa vaucher per le piccole imprese per saltare la burocrazia. Ma solo dal 2012. Ed infine il consueto rilancio delle infrastrutture. Fino ai tre articoli da cambiare della Costituzione, anche questo un proposito sacrosanto, che dovrebbe rendere il tutto un po' meno da socialismo reale. E guardate, non si tratta solo di formalismi: basta vedere a come la Consulta, proprio sulla base della Carta, scrive le sue sentenze. Le ultime, in materia di nucleare, affermano per esempio a distanza di poche settimane che lo Stato ha la competenza sovrana nella scelta dei siti, ma che però è obbligato a consultare le regioni. Tutto ciò porta via tempo, denaro, energie. Come per la Tav. Ma il problema è: quanto ci si mette a modificare gli articoli 41, 97 e 118, tenuto conto della doppia lettura e della non brillantissima situazione in Parlamento? Del resto chi ha un po' di archivio può facilmente verificare come Giulio Tremonti fece lo stesso annuncio l'estate scorsa, come l'11 settembre annunciò il tavolo per la riforma del fisco con tutte le parti sociali, come lo inaugurò il 21 ottobre, come a novembre abbia inviato a Bruxelles la sua ottima Agenda 2020 che destinava a ricerca e innovazione il 53 per cento del Pil. E come alla stessa maniera siano stati imbanditi e sparecchiati dai suoi colleghi i tavoli per il Sud, per la semplificazione degli incentivi, per le infrastrutture, per pubblica amministrazione. La verità è che senza fondi non si finanzia un bel nulla, e tanto meno la ricerca nell'hi-tech. Ed oggi gli unici due governi che possono permetterselo sono gli Stati Uniti, perché può tranquillamente andare in extradeficit, e la Germania, grazie al suo eccezionale surplus commerciale. Tutti gli altri, e non solo l'Italia, devono per ora accontentarsi dei propositi. L'Italia potrebbe però fare un'altra cosa: cercare di attrarre investimenti dall'estero. Ma dovrebbe praticare seriamente la via della semplificazione burocratica, ed è ciò che ha promesso per l'ennesima volta; o in alternativa (o meglio, a fianco di questa) la via dei benefit fiscali. Lo fa il Lussemburgo, stato fondatore dell'Unione europea che ha dato i natali al presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Junker. E lo fa la Svizzera, che soltanto nel 2010 ha indotto dieci tra le maggiori multinazionali, dalla McDonald's in giù, a spostare i loro quartier generali dalla Gran Bretagna a Ginevra e Zurigo. Il nostro paese però, come si sa, ha compiuto fin dall'inizio un'altra scelta strategica: quella del federalismo fiscale. Scelta, sia chiaro, di alto profilo ma che non ci si può illudere che venga fatta partire a costo zero. E infatti su quella Tremonti ha impegnato le scarse risorse a disposizione; e su quella ha logicamente investito tutte le sue fiches politiche la Lega di Umberto Bossi. Il paradosso è che sul federalismo - che una parte rilevante, ma una parte, di una possibile rivoluzione liberista – si spendono negoziati, energie, e aggiungiamo noi anche determinazione politica; mentre per la crescita del Paese nel suo complesso si utilizza una settimana, una riunione di governo, con il ministro di punta che (giustificato) a metà conferenza-stampa si alza e se ne va. Non c'è qualcosa di bizzarro in tutto questo? Dopodiché è anche vero che mentre promettiamo di allentare i vecchi lacci, e mentre a Londra James Cameron dichiara la fine del multiculturalismo, cioè di uno dei pilastri della società inglese, a Roma il capo dello Stato può affermare che la tragedia dei quattro bambini rom è colpa collettiva di tutti noi. Con il massimo rispetto: perché? E' questo il modo di liberare la cosa pubblica dalla retorica della responsabilità di tutti e di nessuno? Qualcuno anni addietro disse che «governare l'Italia non è impossibile, è inutile». Anche se si chiamava Benito Mussolini, magari non aveva tutti i torti.

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