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"Caro Fini, che delusione Fli"

Gianfranco Fini

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Sette pagine per scongiurare che Futuro e Libertà diventi un partito zerovirgola e tradisca la sua ispirazione originaria. Ovvero mandare a casa il Cavaliere a calci nel sedere e sostituirlo con un centrodestra guidato da Fini. Con quali voti ancora non s'è capito ma evidentemente nella «democrazia» dei futuristi non è un problema. Nelle sette pagine dell'edizione domenicale de Il Secolo d'Italia, aperte da un'introduzione di Filippo Rossi, scrittori, giornalisti, artisti, professori danno consigli e idee al presidente della Camera. Ovviamente non lesinano critiche. Si sa, la politica non è un pranzo di gala. Il titolo in prima pagina non lascia spazio a dubbi: «Caro Gianfranco, è arrivato il momento di pensare in grande». Giusto. Allora via: da Bianca Berlinguer a Marco Travaglio, da Gad Lerner a Miriam Mafai, passando per Rita Levi Montalcini ed Enrico Vanzina, ognuno dice la sua. Vedremo i contenuti. Ma il punto è che pochi mesi fa lo stesso Secolo aveva compiuto un'operazione simile. Era l'edizione di domenica 21 novembre 2010. Le pagine erano sempre sette. L'articolo d'introduzione sempre di Filippo Rossi. Scrittori, giornalisti, artisti, professori s'erano lanciati in complimenti, consigli e critiche all'inventore di Fli. Allora il titolo in prima pagina recitava: «Caro Gianfranco... Il partito della cultura si sveglia dal sonno». L'idea era ben espressa dal pezzo di Rossi a pagina 3: «La società civile che spera nella svolta». E confermato dal titolone di pagina 4: «Noi che "tifiamo" perché nasca la Terza Repubblica». Non si può fare a meno di constatare come, trascorsi nemmeno tre mesi, i toni si siano piuttosti affievoliti. Ora il tenore degli interventi è cambiato: «Non disperdiamo la speranza di rinnovamento, dobbiamo navigare in mare aperto» c'è scritto in uno dei richiami in prima pagina. A questo punto tutto lascia supporre che, nel giro di poche settimane, Il Secolo darà vita a un terzo speciale domenicale: «Caro Gianfranco, che delusione Fli!». Del resto i commenti sono chiarissimi. Il 21 novembre dell'anno scorso la cantante Fiorella Mannoia scriveva: «Abbiamo di fronte uno scenario nuovo, io chiedo a Gianfranco Fini di proseguire in questo percorso coraggioso verso una destra moderna e democratica». Il professore Giacomo Marramao ammetteva: «L'opera che sta portando avanti Gianfranco Fini mi pare importante e preziosa per il futuro della democrazia italiana nel ventunesimo secolo». La politologa Sofia Ventura (oggi tra i delusi di Fli) si lanciava in un ottimistico: «Caro presidente, hai ridato speranza a chi crede che attraverso la politica si possa rilanciare l'Italia e renderla un luogo dove sia possibile costruire il proprio futuro». La sintesi era in uno dei titoletti in prima pagina: «La rupture finiana? Ha risvegliato la voglia di partecipazione anche della società civile». Eppure le cose in poco più di due mesi sono cambiate. Eccome. Ora Pierluigi Battista scrive: «Mi auguro che Fini, dopo aver assorbito la botta del 14 dicembre, ritorni a pensare Fli per una guerra politica e culturale nel centrodestra per scalzare l'egemonia berlusconiana, e non per costruire l'ennesimo partitino di cui l'Italia non ha bisogno». Stessa richiesta dallo scrittore Giuseppe Conte. La giornalista Miriam Mafai consiglia al presidente della Camera di «tornare al discorso di Mirabello» mentre Marco Travaglio lo invita a «liberarsi da tutti i paraculi che gli sono andati dietro e che si stanno vendendo a Berlusconi». Fabrizio Rondolino va oltre e, dopo aver esortato Fini a dimettersi da presidente della Camera, dice: «Ancorché indebolito, il progetto di Fini di una destra moderna, europea e liberale rimane valido». Infine Bianca Berlinguer. La direttrice del Tg3 consiglia a Gianfranco di dimettersi e anche di «cambiare lo stile delle cravatte. Quei colori pastello, oggi, sono diventati una civetteria un po' stucchevole». Meno male che le elezioni anticipate sono più lontane del previsto.

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