Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Quando i partiti erano più forti della tv

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

Cinquant'anni fa, il 26 aprile 1961, la prima rete Rai trasmetteva Tribuna politica, nata «come l'istituzionalizzazione di quel dialogo tra i partiti» cominciato con tribuna elettorale. nella prima puntata ad illustrare ai telespettatori l'idea della rubrica, riassumibile nella tv al servizio della politica dove servizio è da intendere nel suo significato ambiguo e ambivalente - sia di spiegare al pubblico programmi dei partiti e proposte, sia di fare propaganda, seppure in maniera pluralista - saranno presenti in studio il ministro delle Poste e Telecomunicazioni Lorenzo Spallino ed il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Onofrio Jannuzzi. Roba che oggi farebbe sbadigliare solo a leggerla sul giornale. Certo è che la svolta nel rapporto tra televisione, comunicazione e politica, era avvenuta l'anno prima - nel 1960 - quando l'allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani annunciò che sarebbe stata concessa «ai partiti politici la trasmissione di una serie di conferenze stampa» (la Tribuna elettorale) e di «una serie di discorsi in televisione» in vista delle elezioni amministrative del 6 e 7 novembre 1960. Cinquant'anni fa gli abbonati della Rai-tv, un solo canale, il primo, erano poco più di due milioni e la politica era più forte, molto più forte, della televisione. In Italia. Non negli Stati Uniti dove, un mese e mezzo prima della decisione di Fanfani e del Governo sulla comunicazione elettorale e politica in tv, il 26 settembre 1960, alle ore 22, a Chicago, negli studi della CBS, il democratico John Fitzgerald Kennedy ed il repubblicano Richard Milhous Nixon, diedero vita al primo faccia a faccia tra due candidati alla presidenza degli Stati Uniti d'America.  Lo studio era scarno: il tavolo con il moderatore al centro e seduti ai lati, con il volto rivolto allo spettatore e leggermente inclinati l'uno rispetto all'altro, i due candidati. Prima del dibattito, secondo le regole stabilite per il confronto, sia Kennedy che Nixon parlano in un'introduzione di circa 8 minuti ciascuno. Lo fanno in piedi, dietro un leggio, ne è stato predisposto uno per ciascuno a lato delle loro sedie. Dopo l'introduzione, il dibattito con i giornalisti che sono seduti faccia ai due e spalle al telespettatore. Ad ogni risposta, sia Nixon che Kennedy vanno dietro i rispettivi leggii. Kennedy, nel rispondere, guarda dritto in camera mentre Nixon si rivolge al giornalista che gli fa le domande. Quello di Chicago sarà il primo di quattro faccia a faccia: altri network, oltre alla CBS, metteranno a disposizione i loro spazi (dopo che il Congresso Usa avrà deciso di rimuovere l'obbligo di dedicare eguali quantità di tempo anche ai candidati minori alla Presidenza, altro che par condicio all'italiana!). La seconda sfida è alla NBC, a Washington il 7 ottobre; il terzo duello alla ABC, il 13 ottobre. Questo sarà il più seguito dal pubblico (share di circa il 61%) e sarà pure il primo dibattito elettronico nella storia della tv: i due avversari duellano in teleconferenza, Kennedy parla da uno studio di New York mentre Nixon si trova a Los Angeles. Dulcis in fundo, ancora la ABC, negli studi di New York per il quarto match: è il 21 ottobre del 1960. Così mentre negli Usa il peso dei faccia a faccia in tv farà pendere la bilancia del voto in favore di Kennedy, più bravo e più telegenico (alla faccia di chi sostiene che i faccia a faccia in tv e - aggiungiamo noi - i talk politici non spostino voti!), in Italia ci siamo appena ingessati nella tv al rimorchio della politica. Il ribaltamento, in questo rapporto di eros e thanatos, si avrà a cominciare dagli anni Settanta. Con il comparire delle tv commerciali, dapprima disattente alla politica nazionale, esplode la vanità del politico, nel senso letterale del termine, che condurrà ministri e oppositori sempre più spesso in tv. Al tempo stesso, agli inizi degli anni Settanta, la Tribuna politica e la Tribuna elettorale invecchiano di botto, perdendo pubblico nonostante l'offerta televisiva sia ancora ridotta, visto che ci sono solo il Primo ed il Secondo canale (nato nel novembre del 1961) mentre il terzo prenderà vita soltanto nel dicembre del 1979. Eppure il linguaggio e la cultura degli italiani sono mutati: c'è stato il 1968, che ha cambiato i costumi, e la tv democristiana sembra roba di secoli fa. Non lo coglierà la politica e neppure la tv pubblica, questo suo deperimento, ma glielo farà capire il corso delle cose, con la nascita della neotelevisione e con la controprogrammazione della tv commerciale. In fondo, se la cosiddetta tv trash è arrivata in Italia soltanto negli anni Ottanta è anche perché la tv pubblica, e la politica che la vigilava (e la vigila!), non aveva intuito che l'Italia era ormai altro rispetto a quella delle parrocchie di paese degli anni Cinquanta. Nel 1982 Enzo Tortora, geniaccio della tv nazionale e uomo colto, darà vita alla trasmissione Cipria, su Retequattro, una emittente privata. Dentro ci sarà una rubrica: le ugole del Palazzo, il cui scopo è quello di far cantare i politici. Scriverà Guido Quaranta, giornalista parlamentare (a cui Tortora chiese una mano per la trasmissione), nel suo libro «Scusatemi, ho il patè d'animo», raccontando il no di Dario Valori, vicepresidente comunista del Senato: «Mai cantato in vita mia ma, se anche lo facessi, non andrei certamente a gorgheggiare in tv. Fanfani mi toglierebbe il saluto e Berlinguer mi espellerebbe dal partito». Eppure qualcuno (anzi, parecchi) che canta Quaranta e Tortora lo troveranno: Alfredo Biondi, del Pli, con un cavallo di battaglia di Aznavour, la deputata Dc Ines Boffardi, con una canzone di Mina dedicata agli immigrati, Ma se ghe pensu, ed intonata sulla tolda di un piroscafo in fonda a Genova. E poi molti altri, tra cui il segretario del Psdi Pietro Longo, con La vie en rose della Piaf ed un sottosegretario socialista alla pubblica Istruzione, Fabio Maravalle, che scelse Pinne, fucile ed occhiali di Edoardo Vianello: si vestì da subacqueo e si immerse in acqua, ad Ostia, cantando a voce alta. Insomma, nel 1982 il linguaggio delle Tribune alla Jader Jacobelli, nate 50 anni fa, era già morto e stecchito da tempo perché il televisivo aveva preso il sopravvento sul politico. Cambiandolo.

Dai blog