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Il vecchio "nuovismo"

Walter Veltroni

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Non è stato un ritorno trionfale anche se ha dimostrato di essere di gran lunga il migliore dei «ragazzi di Berlinguer». Datogli atto di questo, a Walter Veltroni non si può riconoscere di più. L'ossessione antiberlusconiana che ha caratterizzato il suo discorso al Lingotto è risultata stucchevole perfino a chi berlusconiano non è stato mai. Così come il preteso «nuovismo» (e siamo sempre ai soliti stereotipi) del leader dei «modem» rapidamente è naufragato nel luogocomunismo già abbondantemente usurato ben prima che perdesse le elezioni del 2008. Che cosa ha detto, insomma? In breve. Berlusconi deve togliere il disturbo, senza indugi, ma senza neppure passare attraverso il responso elettorale, dimenticando di spiegare perché il premier dovrebbe fare harakiri, per Ruby forse? Poi ha auspicato la costituzione di un governo con tutte le forze che si oppongono al Cavaliere, da Vendola a Fini (è più facile che ci stia il secondo che il primo), salvo bocciare qualche minuto dopo la triste esperienza-ammucchiata dell'Unione, consapevole che una cosa è mettere insieme un cartello elettorale ed un'altra è dare vita ad un esecutivo coeso. Dettagli. Contraddizioni. Di questi tempi sono peli superflui: quelli più interessanti stanno altrove ... Dobbiamo ammettere che a Veltroni nulla è sfuggito. Ha detto anche che c'è bisogno di riformismo, ma non ha spiegato perché lo ha avversato. Ha ricordato che bisogna abbattere il debito pubblico, ma ha glissato sulla circostanza che Tremonti ci sta provando e per questo taglia come un boscaiolo dove può indignando lo stesso Veltroni. Ha reso noto di essersi convinto che i poteri del premier vanno rafforzati, ma non ha motivato perché quando si è posto il problema la sinistra è insorta ipotizzando derive plebiscitarie e tiranniche da fermare a tutti i costi. Ha pure notificato che del federalismo non si può fare a meno, ma non ha chiarito perché il Pd ed il Terzo polo stanno ostacolando l'approvazione dei decreti attuativi. Cosucce, avrà pensato l'immaginifico Veltroni per il quale il suo partito può aspirare al primato politico però, guarda tu la scalogna, «il calo di fiducia nei confronti di Berlusconi non ha portato un aumento dei consensi nei confronti del Pd». Sarà stata colpa del «destino cinico e baro», come avrebbe detto il vecchio Saragat, ma non c'è verso di schiodare il Cavaliere da Palazzo Chigi, neppure con le zoccole, figurarsi con truppe residuali del Pci e della Dc. E allora, ha concluso l'ex-segretario che muore dalla voglia di rifare il segretario, per acquisire la fiducia che il Pd non ha «abbiamo bisogno di un progetto credibile di governo». Pare facile. Se non ci sono riusciti con la magistratura, i giornali, i saltafossi del centrodestra, le escort divinizzate e le piazze mobilitate a costruire il «progetto credibile», forse è il caso che cambino registro e si diano finalmente alla politica. Il moralismo non paga, come si è visto. E neppure le congiure di Palazzo. Veltroni che è un «vecchio ragazzo» sveglio e pure simpatico, lasci ai D'Alema, ai Bersani, ai Fassino, alle Bindi l'antiberlusconismo funzionale allo sconfittismo della sinistra (la sola ideologia praticata dai tempi della Bolognina) e cominci a ragionare sulle questioni all'ordine del giorno, dando ascolto magari a suoi compagni di partito come Alessandro Maran, vice-presidente del gruppo alla Camera, che ha stigmatizzato l'ossessione contro il premier come una delle cause del declino della sinistra o un «rottamatore» alla Renzi. Ne trarrà maggiori benefici di quelli che immagina cercando di compiacere, sia pure prendendone le distanze, dagli ammuffiti mandarini del Pd. Ne sarà capace? È difficile crederlo.  

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