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Bossi a Silvio: "Ci pensiamo noi"

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Il leader della Lega Umberto Bossi

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L'asse non si spezza. Umberto Bossi non arretra. Anzi. Torna a prendersela con i magistrati e conferma la sua difesa nei confronti del presidente del Consiglio vittima di un linciaggio mediatico che, come spiega lo stesso Senatùr, «in un Paese normale e democratico» non dovrebbe avvenire: «Non si mette sotto pressione una persona così: è un presidente del Consiglio mica la mafia». Il fedelissimo Bossi torna a prendere le difese del Cav. Tutto il can can che si sta muovendo attorno alla vicenda Ruby apparentemente sembra non averlo sconvolto. A lui non interessa. È consapevole che l'inchiesta milanese non agevola il cammino del Federalismo fiscale ma per ora non sembra preoccuparsene. Il suo scopo è quello di difendere il premier e fare in modo che il governo non cada. E per arrivare a questo ecco che, scherzosamente, dà un consiglio a Berlusconi: «Vada un po' a riposare da qualche parte che qui ci pensiamo noi». Una battuta che, in un primo ascolto, è stata scambiata per un invito al premier a uscire di scena, ma che viene prontamente chiarita dalla Lega interessata invece a rasserenare il clima politico così da favorire i profilarsi di intese trasversali su questioni concrete come lo è il Federalismo.   E così quell'invito a «riposarsi un po'» interpretato come un avviso di rottura col Pdl (a riguardo ieri Bossi ha anche risposto alle opposizioni sulle pressanti richieste di dimissioni del premier: «Si sa bene che quella cosa lì non la fa») è in realtà un modo adottato dal Senatùr per rivendicare la titolarità della Lega a esercitare con determinazione la sostanziale delega, all'interno dell'esecutivo, sulla riforma in senso federalista dello Stato. Bossi, insomma, torna ad avvertire l'esecutivo sulla necessità del suo partito di chiudere in fretta il capitolo sui decreti attuativi del federalismo e, proprio a tal riguardo, l'esito della trattativa sull'allungamento dei tempi per le modifiche al decreto sul federalismo municipale, non può che tranquillizzare il popolo del Nord. «È andata bene» è stato il commento del Senatùr che in Consiglio dei ministri aveva, poco prima, concesso a Terzo Polo e Pd una settimana di tempo in più per analizzare gli emendamenti sul decreto sul Federalismo municipale. Una proroga, al 2 febbraio, che la Lega avrebbe concesso, a malincuore, per evitare che le opposizioni, arroccandosi sulle loro posizioni, usassero il rifiuto alla proroga come pretesto per votare negativamente il decreto. Eppure, nemmeno questa ulteriore apertura da parte della Lega, sembra aver trovato la soddisfazione delle opposizioni che, ritenendo il tempo concesso insufficiente per rivoluzionare il testo, tornano a chiedere di allungare di 6 mesi l'esame complessivo della riforma che invece scadrebbe il 21 maggio. Una richiesta che, se Bossi ha immediatamente respinto al mittente con una delle sue pernacchie, il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, ha cercato di utilizzare per tornare a chiedere alle opposizioni di andare «avanti sulla strada del dialogo» assicurando che, sul provvedimento, il governo è disponibile «anche a spaccare il capello». La continua ricerca di mediazione di Calderoli diventa così, per la sinistra, l'occasione di tentare il Carroccio sul piano politico. Un tentativo esplicitato ieri sia in un'intervista rilasciata dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, («la Lega molli il premier se vuole portare a casa il federalismo») sia da Massimo D'Alema che aggiunge: «Il Pd è disponibile a sostenere un governo nuovo che affronti i problemi del Paese». Ma alla Lega le tentazioni non interessano e di ribaltoni non ne vuole nemmeno sentir parlare.  

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