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L'intreccio tra letto e potere

Palmiro Togliatti e Nilde Jotti

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La Repubblica italiana era appena nata, il 2 giugno del 1946, quando cominciò a fare i conti con un intreccio non certo nuovo, sopravvissuto nella storia degli uomini a tutti i regimi: l'intreccio tra letto e potere. A inaugurare sotto questo aspetto l'epoca repubblicana fu Togliatti il mitico leader del Pci. Che all'Assemblea Costituente, sulla soglia dei 50 anni, perse letteralmente la testa per una deputata emiliana del suo partito di 27 anni più giovane, Nilde Jotti. Che lo ricambiò immediatamente di un amore tanto intenso quanto ostacolato, ricavandone per molto tempo solo amarezze e umiliazioni. Fra le quali credo le fosse stata risparmiata solo la solerte iniziativa di qualche Procura antesignana di quelle che oggi amano rovistare tra le lenzuola dei politici non graditi. Allora non c'era il divorzio e il matrimonio di Togliatti con Rita Montagnana, che già gli aveva dato un figlio, avrebbe potuto legittimamente procurare alla nuova coppia, una grana giudiziaria per adulterio, per quanto protetta poi dall'immunità parlamentare. Il partito fu con Togliatti e Nilde Jotti meno indulgente della magistratura. Li guardò a vista, pur senza mettere in discussione la leadership politica che il segretario del Pci si era guadagnato, fra l'altro, con una lunga permanenza a Mosca durante il fascismo, con il gradimento di Stalin e con gli onori governativi al ritorno in Italia, quando Togliatti divenne vice presidente del Consiglio con Alcide De Gasperi e ministro della Giustizia. La coppia fu costretta, si disse per ragioni di sicurezza, a vivere in un modesto alloggio ricavato nella sede nazionale del partito. Dove era più facile controllarla, e non solo proteggerla. La morsa si sarebbe un po' allentata solo dopo l'attentato che Togliatti subì davanti a Montecitorio il 14 luglio 1948, quando Nilde Jotti non si lasciò intimidire da nessun bacchettone in abito di agente o funzionario del partito e irruppe nella stanza d'ospedale dove il suo uomo era ricoverato, espellendone di fatto la moglie. Il partito subì, ma non del tutto. Per scalare veramente i gradini delle istituzioni, sino a diventare la prima donna alla guida -e che guida- della Camera, dove siede oggi con ben altro stile politico Gianfranco Fini, la Jotti dovette attendere la morte di Togliatti. Che avvenne durante una vacanza in Russia il 21 agosto 1964.  La seconda comparsa di quello che il nostro direttore Mario Sechi chiamerebbe «u pilu» nella storia della nostra accidentatissima Repubblica risale alla primavera del 1953, durante una campagna elettorale decisiva per De Gasperi e per la Dc: quella che si sarebbe conclusa con una affermazione mutilata dello scudo crociato e dei suoi alleati di centro. Per pochi voti non scattò il premio di maggioranza contemplato da una legge elettorale che la sinistra aveva definito «truffa», nonostante occorresse ben il 50% dei voti più uno per farne scattare il congegno. De Gasperi non lo volle mai dire pubblicamente nei circa dieci mesi che gli rimasero di vita dopo quelle elezioni, ma confidò subito ai suoi amici il sospetto che la Dc avesse subìto gli effetti degli schizzi di fango della vicenda di Wilma Montesi, una giovane trovata morta l'11 aprile 1953 sulla spiaggia di Torvajanica. I giornali comunisti il mese dopo, quando mancavano solo 32 giorni alle elezioni del 7 giugno, insinuarono che tra i responsabili della morte sospetta della donna ci fosse Piero Piccioni, figlio del prestigioso esponente della Dc Attilio, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. La campagna riprese più forte dopo le elezioni, sfociando il 26 marzo 1954 nell'arresto di Piero Piccioni per omicidio colposo, a seguito -si sostenne- di un'orgia durante la quale la Montesi avrebbe avuto un malore da droga. Seguirono il 19 settembre le dimissioni del padre dal governo. Il 28 maggio 1957 Piero Piccioni fu assolto con formula piena, ma la carriera politica del genitore, caratterizzata da un forte anticomunismo, era stata irrimediabilmente spezzata. Voci e storie di letto intrecciate con il potere lambirono, diciamo così, anche il Quirinale durante i sette anni del mandato presidenziale di Giovanni Gronchi, di cui apparve subito sospetta -per la fama che aveva di tombeur de femme- la decisione di separare la residenza familiare, in una traversa di via Nomentana, da quella di capo dello Stato, nel palazzo dove oggi lavora ed abita con la moglie Giorgio Napolitano. E dove decise di lavorare e anche di abitare con la sua famiglia, fra gli altri, Giovanni Leone durante i sei anni e mezzo del suo mandato, interrotto il 15 giugno 1978 con le dimissioni per voci e accuse di corruzione rivelatesi poi infondate, con la condanna in tribunale di chi le aveva diffuse: Camilla Cederna. Tra le altre infamie, il povero Leone aveva dovuto subire anche pesanti pettegolezzi sulla moglie, corredati di fotografie nelle quali furono avvertiti dallo stesso Presidente, a torto o a ragione, i segni di qualche sventurato dirigente dei servizi segreti. Letto e potere s'intrecciarono anche nelle vicende politiche di un ministro storico delle Partecipazioni Statali, il democristiano Giorgio Bo, e del leader socialista Bettino Craxi, tutte di natura rigorosamente eterosessuali. Di altro tipo furono invece le storie di letto e di potere che recentemente l'omosessuale dichiarato Nichi Vendola ha attribuito ad "autorevoli" esponenti della Dc, senza farne tuttavia i nomi.

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