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Quando duellavano Lama e Agnelli

Gianni Agnelli

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Mentre tra Marchionne e il leader della Cgil, Camusso, rimbalzano accuse e perfino insulti, viene da pensare cosa sarebbe successo se a guidare la Fiat e il sindacato ci fossero stati due uomini che hanno fatto grande l'azienda e l'organizzazione. Pensiamo a Gianni Agnelli, che per decenni ha impersonato la Fiat e non solo perché ne era il padrone, e Luciano Lama, il sindacalista per eccellenza.   Sarebbe stato diverso? Pur con tutti i rischi di chi parla di uomini vissuti in altre epoche, possiamo dire di sì. Se Agnelli avesse firmato quell'intesa voluta da Marchionne non sappiamo cosa avrebbe fatto il capo della Cgil. Di sicuro sappiamo cosa non avrebbe fatto. Non avrebbe accettato di fare solo testimonianza. Fine a se stessa. Non sarebbe rimasto invischiato in una palude senza sbocco. Conserviamo il ricordo di uno scontro duro tra il vecchio sindacalista e il potente capo del Pci, Enrico Berlinguer. Lama aveva appena firmato un accordo con il governo per costituire un fondo di solidarietà. Il Pci era contrario e organizzò manifestazioni in tutta Italia. Alla fine di una accesa discussione Lama tagliò corto: il sindacato è nato per fare accordi. Un moderato? Riprendiamo una sua frase: «C'è gente come la pesca, tenera di fuori e dura di dentro. C'è gente come la noce, dura di fuori e tenera dentro. Io cerco di essere come la pesca». E che fosse duro lo sapeva bene Gianni Agnelli. Che, come rivelano i suoi amici, considerava Lama un interlocutore affidabile, leale e qualcuno arriva perfino a dire amico. E che, comunque, rientrava nel giro delle sue telefonate all'alba, come l'allenatore della Juve. E magari parlava con il nemico solo di calcio. Poi al tavolo delle trattative litigavano. Altri tempi certo, ma anche altra scuola. Ricordiamo ai più giovani che Lama non era un'anima candida. Era un comunista. Partigiano combattente si era fatto le ossa con Di Vittorio, un altro comunista anomalo, che osò sfidare la posizione ufficiale del Pci, contestando l'invasione dell'Ungheria da parte dei sovietici. Allora ci voleva coraggio per mettere in discussione l'amata Russia e contestare Togliatti. Lo stesso che mostrò Lama. Con Agnelli, dal '74 al '76 capo di Confindustria, siglò l'accordo sul punto unico di scala mobile. E con la svolta dell'Eur, nel 1978 Lama sostenne la linea dei sacrifici per i lavoratori e arrivò a sfatare il tabù del salario variabile indipendente. Preistoria? Sicuramente, ma veniva messo nel cassetto un punto fermo della sinistra. Così vale la pena ricordare il duro scontro dell'80 con la Fiat. Prima sui 61 licenziati per terrorismo, poi con l'occupazione dello stabilimento. Nel primo caso Lama trattò direttamente con Agnelli, che fu irremovibile. Bisognava dare un segnale e lo diede. E l'opposizione fu solo di facciata. Poi lo sciopero e l'occupazione di Mirafiori per 35 giorni contro la cassa integrazione, furono giorni terribili. Il Pci tentò di cavalcare la protesta. Alla fine fu una sconfitta, ma il sindacato firmò un'intesa, quasi una resa, ma firmò e salvò il salvabile. E la mattina presto i sindacalisti con Lama in testa erano ai cancelli a spiegare il perché dell'accordo. Presero insulti e fischi. Ma quell'intesa passò. La Fiat riprese quote di mercato e i posti di lavoro furono salvi. Avversari, ma capaci di rispettarsi. Lama disse del suo antagonista: «Agnelli è un padrone duro, spietato, un avversario di classe e un uomo d'onore». Proprio mentre a Mirafiori va in onda una nuova tappa dello scontro tra azienda e Fiom vale la pena ricordare a chi va a testa bassa contro il padrone che ci sono solo due prospettive: la sconfitta, oppure una vittora di Pirro che sacrificherà i posti di lavoro. E stavolta non c'è nemmeno un Pci a fare pressioni. Il Pd è lacerato, non è in grado di dettare alcuna linea. È la Cgil che fa il sindacato e il partito. Che persegue un obiettivo politico. Non fa accordi.

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