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Storia capovolta: il Pci fece l'Italia

Il manifesto del Pci

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Il Pci nella storia d'Italia: ne vogliamo parlare? Il riferimento è al logo ufficiale delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità che campeggia sui manifesti della mostra dei Ds sui suoi antenati. Una mostra che rischia di rovinare addosso al furor patrio ed all'amore per il Tricolore - simbolo dell'Unità prima dell'Unità - così caldamente espressi in questi giorni. Il 150° anniversario dell'Unità d'Italia sarà ricordato a lungo per gli equivoci e le pulsioni retoriche prive di verità. Insomma, d'accordo che la storia non si studia più a scuola, che le «grandi narrazioni» non fanno più fremere i cuori e non affratellano vecchi e nuovi rivoluzionari della gauche-caviar, e sia, ma non è lecito strappare dai manifesti di ieri le domande di oggi. Il partito comunista italiano ha avuto in Antonio Gramsci - geniale pensatore con un nemico più forte di lui, che risponde al nome di Palmiro Togliatti, detto tra i suoi il Migliore (brrrr...) - l'ideologo di punta. Questo fior di pensatore aveva chiara un'idea: il Risorgimento è una rivoluzione di popolo fallita e le élites italiane hanno ostacolato a fondo la realizzazione dell'emancipazione storica del popolo italiano. Augusto Del Noce, geniale filosofo cattolico di destra e firma di punta di questo giornale per molti anni, scrollò l'albero degli equivoci e rifilò la sentenza ultima, da kaputt, per il comunismo borghesotto e anti-italiano: il suicidio della rivoluzione. I comunisti non hanno mai fatto il tifo per la Nazione, né per l'Unità d'Italia come vettore ideologico e simbolo politico, anzi, la loro grande visione, da film horror, è sempre stata l'iscrizione della nostra Patria nel registro dei Paesi del blocco comunista. Punto. Il Partito ben più forte della Nazione. Anti-italiani per eccellenza. Sì, lo so, i soliti bene informati obietteranno: e allora Togliatti e la sua operazione della svolta di Salerno? Risposta: non c'entra niente con il patriottismo, né con il senso dell'unità nazionale, anzi, al contrario, segna la penetrazione di una forza esterna alla nostra tradizione, come il comunismo, nel corpo del Belpaese. Si può anche leggere e citare Croce, ma non per questo si è crociani o patrioti italiani. Proprio questa è la spocchia dei comunisti: uscire fuori vergini dai bordelli della storia. Ma non funziona così. Il fatto che abbiano cambiato il nome, rimanendo tuttavia dentro la «cosa» (come un magistrale film-documento di Nanni Moretti, «La cosa», appunto, dimostrò a suo tempo), non fa di loro gli ospiti di tutti i talk-show della storia, in cui si può dire tutto e il suo contrario. L'internazionalismo è il nerbo del comunismo e la narrazione della storia comunista ad uso e consumo dei nuovi militanti del Pd, poveretti, né pesce, né carne, non facilita il processo di revisione e di restyling. Ogni passo dei post-comunisti è sempre segnato dal morbo nichilista: niente più Pci, di punto in bianco, e oggi patrioti di risulta, nonostante le celebrazioni di una storia da loro rinnegata. È la fine di chi crede di non avere mai colpe: punta l'indice contro l'altro e si ritrova solo davanti allo specchio.

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