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Uno sguardo qui vicino. Nel futuro

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Cari lettori de Il Tempo, il 2010 se ne sta andando, ci saluta con la mano, lo vediamo allontanarsi con un sacco in spalla e un sorriso ironico. Quel fardello pesantissimo lo consegnerà al 2011, dentro ci sono i buoni propositi e le cose da ultimare, quelle ancora da fare. Sono tantissime. Sapete, amici, gli anni si scambiano il testimone, si parlano con il tono franco che si riserva agli amici più cari, ai figli, gli anni sono personaggi pazienti che annodano i giorni, le settimane e i mesi. Sono la nostra storia quotidiana. Grande e piccola, ricca e misera, umana a volte troppo umana e in casi meravigliosi sovrumana. L'ultima notizia che impaginiamo prima di festeggiare anche noi il nuovo anno viene dal Brasile. L'avvocatura dello Stato dice no all'estradizione in Italia del terrorista Cesare Battisti. Il presidente uscente Lula pare intenzionato a seguire questa linea. Un paese amato dagli italiani, il Brasile, dà protezione a un terrorista sul cui capo pendono quattro condanne per omicidio. Un fatto incomprensibile per chiunque abbia a cuore la giustizia. È uno degli eventi di un 2010 che ha cominciato a farci vedere un futuro di cui il 2011 sarà un capitolo più compiuto. Tutto sta cambiando. La globalizzazione e la tecnologia hanno impresso un'accelerazione impressionante al cambiamento. Fenomeni che avevano bisogno di decenni per manifestarsi, oggi si palesano con la rapidità di un predatore notturno e ci costringono a mutare la nostra visione del mondo, a lasciare da parte convenzioni e convinzioni. La contemporaneità ci presenta delle sfide che non possiamo permetterci di ignorare: dobbiamo affrontarle e prepararci a farlo nel migliore dei modi. Nei dibattiti pubblici e sulle pagine de Il Tempo ho cercato di raccontare che cosa sta accadendo, quali sono i settori che verranno sconvolti (in meglio e in peggio) da quella che negli Stati Uniti chiamano «crescita esponenziale». Un fenomeno di cui stentiamo ad accorgerci perché non ci fermiamo a guardarlo, eppure è tangibile e sta modificando la nostra vita. Quando un anno finisce, tutti noi proiettiamo lo sguardo verso l'anno che verrà. Ai giovani di oggi e ai genitori di tanti bambini che cominciano ad aprire i loro occhietti sul mondo consiglio di non limitarsi a guardare alla data del 2011, ma di fare uno sforzo di immaginazione e proiettare la visione sui prossimi dieci, quindici, venti e trent'anni. Può sembrare un esercizio impossibile, ma in realtà si può fare e sarebbe bene che la classe dirigente di questo Paese si desse una mossa rapida per raccontare agli italiani cosa sta accadendo e cosa accadrà. Ammesso che lo sappiano. In ogni caso, bisogna parlare con la lingua della verità. L'Italia è uno straordinario Paese, a dispetto di quel che scrivono i declinisti è molto ricca, le famiglie hanno un patrimonio robusto, ma tutto questo non ci mette al riparo dalla tempesta in corso. Il primo ad averlo intuito e teorizzato è stato Giulio Tremonti nel suo libro «La Paura e la Speranza». Non siamo al sicuro perché facciamo parte di un sistema di relazioni internazionali in crisi e siamo fondatori di un'Europa che è il vaso di coccio tra i vasi di ferro (Stati Uniti e Cina). I forum e i pensatoi più seri da tempo hanno messo al primo posto dei temi dell'agenda quello di una governance mondiale che ha il fiato corto. I vari G7, G8 e G20 che si sono succeduti hanno mostrato falle enormi e gravi incapacità a risolvere i problemi. Le istituzioni finanziarie dopo un primo periodo di collaborazione dopo il crac del 2008 sono tornate a parlare una lingua diversa e prendere decisioni contrapposte. Il presidente americano Barack Obama e la Fed fanno politica ed economia guardando all'Asia, l'Europa conta pochissimo. Il mercato del lavoro e la disoccupazione - vera preoccupazione di tutti i governi per il presente - sono un'arena che non può più considerarsi per nessuno ristretta ai confini del proprio Paese. Ai giovani universitari che studiano spesso materie inutili e ai nostri figli dobbiamo raccontare la verità: il posto fisso non sarà il modello del futuro e il luogo di lavoro spesso non sarà in patria. Anzi, se fossi in cerca di impiego, la mia ricerca oggi allargherebbe l'orizzonte a tutto il mondo.   Gli ingegneri e i maghi del software indiani e cinesi sbarcano nel nostro Paese e noi invece continuiamo a riempirci la bocca con la «fuga dei cervelli» laddove gli unici cervelli in fuga (dalla realtà) sono quelli di chi sta abbarbicato alla propria rendita e non si rende conto che oggi l'intelligenza viene contesa a suon di dollari, euro e yen ovunque e non conta da quale Paese provieni ma quali idee hai e che visione proponi. E invece nel nostro Paese abbiamo assistito allo sfascio degli universitari per le vie di Roma, ad assemblee d'ateneo in cui trionfava il vuoto pneumatico e a una retorica della politica nei confronti dei cosiddetti «studenti» che è il miglior biglietto di sola andata per il fallimento. Neanche uno dei tromboni che stanno in cattedra tutto l'anno si è alzato in piedi per dire ai giovanotti dal sanpietrino facile che nessuno aspetterà che si realizzino le loro banali utopie, perché il mondo corre a una velocità impressionante e se ne infischia di chi fa il rivoluzionario con la paghetta di papà, la PlayStation e la Smart. Abbiamo visto invece il Presidente della Repubblica ricevere questi geni, (nessuno risulta opzionato dall'università di Stanford) e francamente - lo dico con grande rispetto per Giorgio Napolitano - il Quirinale ha commesso un errore. Altri messaggi avrebbero dovuto arrivare per i giovani e soprattutto per gli studenti veri, quelli che non hanno tempo per andare in piazza perché mamma e papà fanno sacrifici che vanno onorati e ripagati con l'impegno. A questi ragazzi si sarebbe potuto raccontare che è ora di finirla con le iscrizioni ai corsi universitari di comunicazione, alle lauree brevi con insegnamenti da barzelletta, alle facoltà di giurisprudenza e economia che non hanno futuro se non sono di altissimo livello. Bisogna spiegar loro che ci sono quattro o cinque settori che hanno un senso e il resto o è manovalanza sottopagata o disoccupazione certa. Nelle università dovrebbero essere istituiti corsi e centri di ricerca dove si discutono e apprendono i fondamentali di materie come Intelligenza artificiale e robotica, networking e computer, nanotecnologia, biotecnologia e bioinformatica, medicina e neuroscienze, energia e sistemi ambientali. Sono questi i temi chiave di un futuro che è già in fase di costruzione avanzata. I lettori più affezionati e attenti sanno che nell'ottobre scorso sono volato negli Stati Uniti per studiare e vedere con i miei occhi questo futuro. In California, a Singularity University, un'istituzione tra i cui fondatori c'è Google, ho capito che non c'è tempo da perdere e l'Italia è piena di gente che racconta balle. La fabbrica del domani sarà senza operai, avrà dei controllori e sarà dotata di tecnologie inimmaginabili. Qui da noi siamo fermi all'archeo-marxismo della Fiom in chiave inglese che bolla come fascista un signore che per me è l'uomo del 2010, Sergio Marchionne. Un signore capace di rivoluzionare e rimettere sul mercato un'azienda decotta - la Fiat - e dare una spallata a un sistema delle relazioni industriali corporativo che serviva solo a Confindustria e Cgil per spartirsi la torta della rappresentanza di imprese e lavoratori. Game over. Quel mondo è finito. Quando leggo, scrivo e parlo in pubblico di questi temi, mi rendo conto che c'è fame di sapere, c'è tanto da fare e da capire. Voglio chiudere il mio ultimo articolo del 2010 con un consiglio e una speranza. Il consiglio è la lettura di «Effetto Google», un libro di Ken Auletta, la storia incredibile dell'azienda che oggi è il titano di internet. La speranza è che qualcuno traduca presto in italiano un libro strepitoso di Kevin Kelly intitolato «What technology wants», un viaggio nella tecnologia di ieri, oggi e domani. Sono una guida per capire dove stiamo andando. Qui vicino, nel futuro. Buon anno.  

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