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Se la scemenza diventa ideologia

Sit-in degli studenti sulle scale del Campidoglio contro la legge Gelmini

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{{IMG_SX}}Cosa hanno in comune gli studentelli... Che cosa hanno in comune gli studentelli rivoluzionari che giocano alla guerriglia per strada e un politico di sinistra dal visetto pulito come Dario Franceschini? Cosa hanno in comune gli apprendisti capipopolo che, nell'esclusiva audio pubblicata da Il Tempo, si credono «l'unico motore sociale del Paese» e l'erede di quella sinistra cattolica che ha inventato il fenomeno tutto italiano del cattocomunismo, mettendo insieme Cristo e Marx senza prendere nulla dall'uno, né dall'altro? Una cosa fondamentale: la scemenza trasformata in ideologia. Il problema è che la sinistra che non c'è non è mai quella che vorresti, perché quella che vorresti è esattamente quella che c'è. Altrimenti noi reazionari non potremmo continuare ad avere ragione su tutto. Anche se lo negheranno, e senza bisogno di esame del Dna, i novelli Che Guevara de noantri sono i figli naturali di quelli come Franceschini che continuano a pensare la politica come odio e semplice antitesi. E allora spieghiamo le motivazioni per le quali Dario Franceschini si merita l'ambita onorificenza di «padre politico della scemenza ideologica». Qualche giorno fa, come ogni politico progressista di fede obamiana che si rispetti, ha invaso il web con un video su You Tube in cui ha giustificato con un'analisi politica lucida, attuale, quasi moderna, le ragioni di un'alleanza del Pd con il Terzo Polo di Casini Rutelli e Bocchino. E quali sarebbero queste ragioni lucide e moderne? Ovvio, la Resistenza e il movimento partigiano. Franceschini ha detto di aver capito un sacco di cose. Primo che «è un'idea scema quella che Berlusconi sia invincibile». Secondo «che Berlusconi ha dentro di sé pulsioni autoritarie». Terzo che con Berlusconi siamo al «livello massimo d'emergenza democratica». Quarto che comunque «siamo a un passo dalla fine» del suo sistema di potere. Quinto che siccome bisogna preoccuparsi perché in questi momenti ci possono essere i colpi di coda, «nei prossimi mesi dovrà essere massima la nostra vigilanza democratica». Sesto, che bisogna ricordarsi che quando «le nostre madri e i nostri padri si trovarono in montagna a fare la Resistenza» non stettero lì a domandarsi se erano comunisti, cattolici, liberali o monarchici (con viva soddisfazione dei comunisti che dopo la guerra, di partigiani cattolici, liberali e monarchici ne poterono far sparire un bel po' senza che nessuno se ne accorgesse). E allora, basta con le chiacchiere. Diamoci da fare tutti insieme per abbattere la dittatura. Se Franceschini, oltre a Dossetti e Don Primo Mazzolari, avesse letto Carl Schmitt, capirebbe che una moderna democrazia è tale solo se sa ricondurre il conflitto all'interno di regole precise e condivise, proprio perché i diversi attori appartengono ad una comune dimensione di senso. Qui si fonda il gioco elettorale, la legittimità costituzionale, la sovranità parlamentare, la divisione dei poteri dello Stato. Continuare a raccontare, che un Presidente del Consiglio eletto per tre volte in 15 anni con regolari elezioni, è un corpo estraneo alla democrazia, significa trascinare il conflitto politico al livello estremo nel quale le regole di comune condivisione saltano e le tensioni diventano irriducibili. Questo giustifica la violenza dei giovanotti universitari che nell'audio pubblicato arrivano ad autoassolversi con piroette illogiche tipo: «la vera violenza è quella che sta dalla parte di un governo che consente quello che sta succedendo sul corpo dei migranti, delle donne, i morti sul lavoro, le discariche, i tagli, i licenziamenti». In realtà, è proprio la politica che espelle l'avversario dalla sua dimensione reale per proiettarla in quella ideologica, ad aprire la porta all'autoritarismo. In parole povere: la vera emergenza democratica è data dalle scemenze che dicono quelli come Franceschini e che gli studenti poi eseguono. Poi si scopre magari che le motivazioni sono altre e meno nobili. Mario Damilano, attento analista della sinistra radicale, ha scritto che per la dirigenza del Pd «l'antiberlusconismo è di nuovo una virtù per giustificare la fine delle primarie e le alleanze spericolate». Altro che Resistenza: l'obiettivo è incassare il soccorso centrista, far fuori il popolo delle primarie e scongiurare il rischio che Nichi Vendola le vinca. Scomodare i propri padri partigiani per giustificare questa miseria infastidisce pure noi che alla retorica resistenziale non ci crediamo molto. L'irresponsabilità della classe dirigente del Pd (cui si associano i deliri complottisti della Finocchiaro o le solidarietà per tetti di Bersani) aiuta i giovincelli dalla spranga facile a sentirsi, come dicono loro «un po' troppo davanti rispetto alla società che fa fatica a seguirci». E allora, visto che nel Pd, Matteo Renzi, il giovanotto sindaco di Firenze sepolto sotto la neve, vuole «rottamare» la vecchia classe dirigente, noi gli diamo un consiglio: inizi a rottamare la stupidità, che nel suo partito ce ne è molta. E non ha età.

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