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Silvio vuole stravincere con Fant'Antonio

Antonio Cassano

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La forza di Berlusconi è la sua storia. Quella storia italiana che si porta addosso di tutto, dagli oggetti contundenti alle ingiurie rivolte a chi osi scrivere dell'italianità discutibile ma certamente generativa del Cavaliere, leggi alla voce Bruno Vespa. È così, dal 1994. Sono passati gli anni '90 del secolo scorso, le ideologie sono reperti archeologici, ma intanto si combatte per le strade della Capitale contro Citizen Berlusconi. Marco Revelli, fine e livoroso politologo "de sinistra", è netto: il berlusconismo è il «racconto totale» del nostro tempo. Buttalo via, vien fatto di pensare. Diciamola tutta: è un racconto totalizzante. In grado di tenere insieme gli scompartimenti più distanti del treno-Italia, la prima classe e la seconda con i cessi maleodoranti e spesso inagibili. Se le cose stanno così, siamo di fronte ad una sorta di singolare Viaggio dell'Eroe, per scomodare il grande Joseph Campbell, il patron della mitopoiesi del Lucas di Guerre stellari, suo allievo. Tutto si condensa in questa architettonica dissonante rispetto ai canoni dei benpensanti à la carte - l'ultima in ordine di tempo è la Finocchiaro, dietrologa "de noantri" - e dei "partitanti" all''ngrosso, ormai esclusi dalla storia e dalla vita. Riprova del nove: mentre Fini digrigna i denti nell'ultima sua ora politica - grazie a Dio - e, nel contempo, si sdraia sull'ennesimo promontorio di vacuità innalzato dalla politique politicienne, Berlusconi medita la trappola metapolitica sublime: comprare Cassano. Lo sbarbatello sempiterno e figlio dei dèmoni del bel calcio italiota rientra nei ranghi sampdoriani a stipendio dimezzato, sì, ma che c'entra? La golosità del Cav. non si ferma, qui si fa l'Italia nella Champions, oltre che nel campionato, o si muore. E lui, di morire, come sanno i futurologi delle tre carte smarrite sul tavolo da gioco, non ne vuol sapere. C'è di mezzo ancora una volta il Viaggio dell'Eroe. Ma ve l'immaginate voi il Milan stellare di questi tempi, con Cassano a far da piccola vedetta lombarda (acquistata), appena dietro il gigantesco (in tutti i sensi) Ibrahimovic? Cassano al posto di Ronaldinho? Bene, tanto la questione della vita di Cassano si vince una volta per tutte con un Ibra mèntore - come nella narrazione di Campbell - del minuscolo malandrino barese. Poco ma sicuro. È la stessa temperie postmoderna in cui versa Berlusconi da sempre. Ibra uccide l'autostima dei malcapitati portieri, segna in rovesciata come niente, spacca tutto in ogni angolo del campo, non è un semplice attaccante, è un fuori-ruolo, una nuda soggettività che avanza implacabile destando l'attrattiva dell'Auctoritas, di fronte a chi deve, poveretto, marcarlo. E di fronte ai compagni, che vedono solo lui. Cassano ha uno stop alla Corso, tira alla grande con tutt'e due i piedi, corre come una lepre quando non si incazza con se stesso, ma non è "la" Presenza in campo. È un orfano di Padre. Ibra è il copia e incolla del Cav, in versione postmoderna: scalcia con il taekwondo, l'arte dei calci e dei pugni in volo, per giunta, e compendia il "racconto totale" dello sport con la guerra corpo-a-corpo. Sono finite le grandi narrazioni, forse, ma non l'afflato del Viaggio dell'Eroe. La metapolitica di Citizen Berlusconi funziona come calamita dell'improbabile e Ibra, magari, segnerà, dovendo cazziare per l'ennesima "cassanata" il Cassano, minuscolo acrobata in cerca del Padre. È il football, signori. È tutto qua. Nel racconto italiano di un uomo scorre come la politica.  

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