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Maroni: sbagliato rilasciare i fermati

Roma, scontri al corteo anti-Gelmini

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«Rispetto ma non condivido la decisione dei magistrati». Il ministro dell'Interno Roberto Maroni non ci sta. Non accetta il verdetto dei giudici sulla scarcerazione dei ragazzi fermati a Roma durante gli scontri del 14 dicembre e così, riferendo a Palazzo Madama, unisce la sua protesta a quella di tutto il centrodestra. Critica il rilascio dei 23 giovani e, se da una parte, rimanda al mittente le ipotesi (come quella formulata dal capogruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro) sulla presenza di infiltrati alla manifestazione definendole «un'illazione destituita di fondamento e gratuitamente offensiva», dall'altra si schiera apertamente con le forze dell'ordine. Ne esalta la professionalità e sottolinea che, con il loro operato, «sono state evitate conseguenze più gravi ed è stata garantita la libertà di espressione di chi voleva manifestare pacificamente». Ed è proprio su questi ultimi che si è concentrato il responsabile del Viminale difendendo il «diritto di manifestare» ma attaccando i violenti che prendono «in ostaggio i cortei» con il «solo scopo di attaccare gli uomini delle forze dell'ordine. Una minoranza - ha sottolineato - fatta di professionisti della violenza, estranei alle ragioni della protesta e che, presumibilmente, non vorranno perdere le prossime occasioni di dissenso per imporre un clima di tensione e violenza». Uno scenario che Maroni teme possa ripetersi già martedì prossimo quando, sempre al Senato, ci sarà la discussione finale della riforma Gelmini. Un evento che riporterà a Roma migliaia di manifestanti arrabbiati che, negli intenti del ministro, bisognerà fronteggiare adeguando «tempestivamente il sistema di gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica». Dal fronte giudiziario è invece il ministro Angelino Alfano a scendere in campo dando disposizione agli ispettori ministeriali di fare accertamenti sulle scarcerazioni dei manifestanti. Una mossa che non è piaciuta all'Associazione nazionale magistrati che, sentendosi violata nelle proprie prerogative, ha espresso «preoccupazione» per l'iniziativa: «Siamo di fronte a un'indebita interferenza nello svolgimento dell'attività giudiziaria che rischia di pregiudicare il regolare accertamento dei fatti e delle responsabilità dei singoli. La nostra condanna degli episodi di violenza cui abbiamo assistito - affermano in una nota il presidente e il segretario dell'Anm, Luca Palamara e Giuseppe Cascini - è ferma e netta e l'Anm esprime solidarietà agli appartenenti alle forze dell'ordine che sono rimasti feriti nello svolgimento delle loro funzioni. Ma abbiamo il dovere di ricordare che alla magistratura è affidato il delicatissimo compito di accertare responsabilità individuali, di verificare la fondatezza delle accuse e di valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione di misure cautelari». E dopo la precisazione, la nota prosegue con una sonora bacchettata: «Sono principi - concludo i vertici dell'Anm - che sovente molti politici ci ricordano in occasione di inchieste che toccano la pubblica amministrazione e che troppo facilmente vengono dimenticati in altre occasioni». Pronta la replica di Alfano: «Nessuna interferenza: faccio il mio dovere tenendo a mente le prerogative che la Costituzione attribuisce al ministro della Giustizia». Intanto anche il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano ha voluto lanciare una proposta per evitare ulteriori violenze durante le manifestazioni: estendere il «daspo» (divieto di accedere alle manifestazioni sportive) alle manifestazione di piazza, «per contare su uno strumento in più sul piano della prevenzione che permetta di conoscere preventivamente, e non sulla base di mere informative, i soggetti da tenere distanti dalla piazza, nell'interesse stesso dei manifestanti con intenzioni pacifiche».  

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