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Mascalzoni in famiglia

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Linea dura. Non ci sono altre strade al di fuori di questa per riportare un minimo di legalità e agibilità democratica all'interno della protesta degli studenti. Legalità perché quel che abbiamo visto a Roma nei giorni scorsi è lo scenario di una guerriglia urbana non di una protesta pacifica di sbarbatelli con i «Promessi Sposi» in mano; democrazia perché i violenti vanno assicurati alla giustizia e puniti severamente affinchè chi vuole manifestare il proprio pensiero in maniera pacifica possa farlo. Bene dunque ha fatto il ministro Maroni a criticare ed esprimere le sue perplessità sulla decisione della magistratura di Roma di scarcerare la marmaglia che ha messo a ferro e fuoco la città eterna. Rispettiamo la legge, ma con buona pace dell'associazione nazionale magistrati, l'applicazione di quella legge nessuno capisce né condivide.   E può darsi che alla magistratura associata non gliene importi un fico secco del popolo (vorrei sommessamente ricordare che i giudici amministrano la giustizia in nome del popolo che è sovrano) ma alla politica, ai partiti, ai giornali, alle istituzioni che si muovono nella società civile tutto questo importa eccome. L'impunità se picchi un poliziotto, se sfasci una vetrina, se causi 20 venti milioni di euro di danni in mezza giornata, dalle parti di chi lavora e suda sette camicie non esiste. E non esistono neppure le soluzioni pedagogiche e sociologiche proposte dai parrucconi di turno, dai professoroni in servizio permanente effettivo, gli stessi che da quarant'anni sbagliano prognosi e ricetta.     Mercoledì prossimo la Capitale sarà nuovamente invasa dagli studenti, i quali pur non avendo capito niente della riforma universitaria hanno deciso di concedersi un'altra scampagnata e tra i commercianti del centro c'è già chi ha deciso di chiudere tutto e buonanotte. Ma stavolta ho l'impressione che i novelli gladiatori del nulla troveranno pane per i loro denti: il ministro dell'Interno ha deciso di non ripetere la sceneggiatura della volta scorsa e con il ministro Alfano - che ha prontamente fatto il suo dovere inviando gli ispettori al tribunale di Roma -, anche con le loro parole, hanno lanciato un avviso alla magistratura, la quale è di certo indipendente, ma non dalla realtà. E la realtà è quella che abbiamo visto con i nostri occhi: lo sfascio più totale, una città sotto assedio, l'ignoranza sventolata come una bandiera, la vigliaccheria e la complicità di molti come copricapo e scudo. Ci sono tanti modi per essere complici dei teppisti, ma il peggiore è di sicuro quello degli intellettuali che pensano di poter rivivere i formidabili anni del '68 attraverso le gesta di questi mascalzoncelli. Come sono romantici, illusi di poter tornare ai fasti e soprattutto nefasti del passato.   Hanno sbagliato una volta, e sbagliano ancora. Non è nostro compito quello di fare i maestri, non abbiamo questa vocazione, ma di certo non siamo tra quelli che tacciono, scelgono il silenzio di fronte a questo scempio dell'intelligenza, del buon senso e purtroppo della sicurezza della città di Roma. Maroni faccia tutto quello che deve essere fatto, il capo della Polizia lo segua, Alfano vigili sulla corretta applicazione del codice penale. Tutto il resto è sovrastruttura, un discorso forse anche interessante ma non urgente nel momento in cui c'è qualcuno che sta progettando di spaccare la testa al prossimo e attraverso i forum on line e il tam tam virtuale sogna la rivoluzione. L'altra sera ad Annozero ho visto e sentito una serie di cretinate che all'inizio potevano far ridere, ma in realtà sono preoccupanti. Un ragazzino rigorosamente con la barba (perché si sa, con la barba e i capelli lunghi si è più di sinistra) è arrivato ad affermare con senso del ridicolo e somma imbecillità che la polizia schierata nel tridente di Roma era là per difendere la «compravendita dei voti». Basterebbe questo per aprire una sessione dallo psicanalista e un corso di ripetizione serale urgente, ma è francamente un'operazione di recupero che ho capito essere totalmente inutile. Esiste in realtà una generazione di giovani senza arte né parte che è cresciuta sul falso assioma per cui qualsiasi cosa è un diritto: la paghetta di papà, l'università a costo zero, la pagella con il sei politico, la playstation sempre accesa, il telefonino di ultima generazione, la macchinetta come cadeau per la maturità, lo sballo il fine settimana e nessuna, dico nessuna, responsabilità. Ebbene, sapete una cosa? Di questi ce n'è tanti. Ma conosco anche tantissimi bravi ragazzi che studiano, lavorano, s'affaticano sui libri e hanno sete di conoscenza. Spesso sono poveri o ricchi che hanno avuto la fortuna di essere stati bene educati. Sono questi i giovani su cui puntare e ai quali parlare, gli altri, quelli che non conoscono la parola sacrificio hanno già gli occhi sbarrati di fronte alla realtà che fino a ieri avevano ignorato. La cosa davvero stupefacente è che le imprese di alcuni di questi balordi, siano totalmente ignorate dalle famiglie. Sarò franco, non è un'attenuante anzi, è un'aggravante per quei padri e madri che non hanno ancora visto nello sguardo dei loro figli il vuoto che li ha rapiti e condotti fino a quel pozzo d'ignoranza. Temo che oltre al corso di recupero per i figli vada istituito con una certa urgenza anche un corso per imparare a fare i genitori. Nella società dell'abbondanza, dell'opulenza, del consumo, del tutto facile e subito, s'è perso di vista il valore reale delle cose. Nell'Italia che usciva dalla guerra tutto questo non sarebbe stato possibile. E forse i 150 anni della nostra Unità più che celebrarli con i parrucconi di turno dobbiamo ripensarli, a cominciare proprio da una cosa che si chiama famiglia.  

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