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E a sinistra non ci sperano più

Matteo Renzi, sindaco di Firenze

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Il primo a instillare il dubbio, timidamente, era stato Eugenio Scalfari lo scorso 21 novembre. Quando, nel suo consueto "sermone" domenicale sulle pagine di Repubblica, aveva invitato l'opposizione, «indipendentemente dalle vicende strettamente politiche», a occuparsi di «questioni di fondo» parlando di criminalità organizzata e debito pubblico. «Se il 14 dicembre ci sarà la crisi di governo e cosa accadrà dopo - era la sua premessa - è ancora terreno icognito, non lo sanno né Fini né Casini né Bersani né Veltroni né Vendola e non lo sanno neppure Berlusconi e Bossi. Un tempo si diceva che il futuro è sulle ginocchia di Giove e questa è appunto la situazione attuale, solo che non si sa chi sia Giove e ci sono forti dubbi sulla sua esistenza». Siamo al 9 dicembre è quel dubbio è diventato un «tarlo» che rode il centrosinistra. Con il passare del tempo infatti, dentro il Pd e non solo, sta crescendo il partito di quelli che guardano con un certo scetticismo all'appuntamento di martedì prossimo. Anche perché, come ha ricordato Massimo Calearo, «alcuni colleghi del Pd sono sicuri che Bersani non li ricandiderà» e «mi chiedono di votare la fiducia, di salvarli».   A guidare gli scettici c'è sicuramente il sindaco di Firenze Matteo Renzi. La sua visita ad Arcore ha scatenato furiose polemiche all'interno dei Democratici. Oggetto dell'incontro? «Ho chiesto al presidente del Consiglio - ha spiegato - di mantenere gli impegni per Firenze che il Pdl si era preso in campagna elettorale, a partire dalla legge speciale. Se il governo vuole mantenerli l'occasione più logica è il decreto mille proroghe che va in votazione a stretto giro». Ora, siccome il sindaco di Firenze non è uno sprovveduto, è piuttosto curioso che abbia deciso di chiedere un impegno così importante ad un premier che, dopo il 14, potrebbe essere "disoccupato". Tra l'altro lo «stretto giro» di cui parla Renzi presuppone uno scenario di lungo periodo. Con il governo regolarmente al lavoro, infatti, il mille proroghe verrà approvato non prima di gennaio. Due quindi le ipotesi: o Renzi aveva voglia di una gita turistica ad Arcore, o ritiene che Berlusconi continuerà a rimanere a Palazzo Chigi. La seconda ipotesi appare più plausibile visto che il primo cittadino fiorentino non è il solo a pensare che il Parlamento non riuscirà a disarcionare il Cavaliere. Ne ha scritto tre giorni fa Francesco Piccolo sulle pagine dell'Unità: «Perdonatemi, ma sono cauto, guardingo. Ho pochissima fiducia nell'opposizione, e ancora meno in Fini e Casini. E figuriamoci della capacità di Berlusconi di ritirarsi in buon ordine». E ancora: «La domanda che nessuno si vuole fare è: si può considerare finito un politico che se si andasse oggi a votare avrebbe grandissime probabilità di rivincere le elezioni, con un pezzo di coalizione in meno?». Martedì a Piccolo ha fatto eco Europa: «Non solo non ci fidiamo che davvero fra una settimana il Parlamento riesca a sfiduciare il governo. Ma non ci fidiamo di quello che potrebbe accadere dopo, visto che si tratta di mettersi nelle mani di Fini, di Casini, magari di Gianni Letta. E soprattutto considerando che Berlusconi rimane elettoralmente forte». Scettici i giornali di area Democratica, ma un po' anche Nichi Vendola, secondo cui «o con la compravendita, o con il ricatto, o con la paura è possibile che l'esecutivo possa ottenere la fiducia anche se risicata». E Pier Luigi Bersani? Anche la convinzione del segretario del Pd sembra vacillare se se si affida dichiarazioni tipo «comunque noi dal 14 combattiamo da una posizione più avanzata». Scaramanzia? Forse. Di sicuro c'è una certa differenza tra dire che il Cavaliere verrà sfiduciato e affidarsi ad un «comunque vada».  

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