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Casini fa il pacco a Fini

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Da sinsitra Pierferdinando Casini con Silvio Berlusconi

Il leader Udc apre a un Berlusconi bis E ora è pronto a trattare con il premier

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  Una settimana fa si scambiavano sorrisi al convegno organizzato dai Liberaldemocratici nel Palazzo della Confcooperative. Seduti allo stesso tavolo Gianfranco Fini e Pier Ferdinando, sotto lo sguardo vigile di Francesco Rutelli, parlavano di Terzo Polo, patti per la Nazione e varie amenità. Ora, dopo essersi alzato da quello, il leader dell'Udc vorrebbe sedersi ad un altro tavolo. E non è affatto detto che Gianfranco sia della partita. Anzi. Sabato era stata Emma Marcegaglia a chiedere ai centristi di valutare l'ipotesi di un ingresso al governo. A distanza di 24 ore Casini risponde. Lo fa a modo suo. Senza esporsi eccessivamente. Ma è indubbio che le sue parole suonano come una mano tesa al Cavaliere. «Se vogliono cambiare - spiega parlando all'assemblea nazionale dell'Udc - ci siederemo al tavolo ma ci aspettiamo fatti». Quindi fissa le sue condizioni: «L'importante è che si cambi davvero. Non ci piace la Lega e non ci fidiamo delle promesse di Berlusconi. Non abbiamo fretta di andare a governare: se siamo stati all'opposizione per due anni è perché non condividiamo la politica degli spot». Ma, aggiunge, «non possiamo consentirci di stare in riva al fiume perché il cadavere che vedremo passare non è quello di Berlusconi ma quello del Paese». Per questo, secondo Casini, la soluzione è «un governo di armistizio, di responsabilità e di solidarietà nazionale. Per tre-quattro anni bisognerebbe non pensare a chi vince le elezioni ma governare facendo anche scelte impopolari». Difficile capire bene in cosa consista questo «governo di armistizio» e chi ne faccia parte. Rocco Buttiglione spiega che il Cavaliere dovrebbe dimettersi per poi guidare un esecutivo bis cambiando agenda e alleati. Di certo, dopo la «retromarcia» di Fini che negli ultimi giorni ha chiesto al premier di «onorare» gli impegni presi, quella del leader Udc potrebbe sembrare una mossa fatta in accordo (dopotutto era stato proprio il numero uno di Fli ad invocare una maggioranza allargata ai centristi). L'impressione, però, è che non sia così. Casini sa che con la rottura tra il Cavaliere e il presidente della Camera nel centrodestra (che resta pur sempre la sua area culturale di riferimento) si sono aperti degli spazi enormi. Sia in termini di posti da occupare che in termini di prospettive politiche future. Entrare ora nell'esecutivo contribuendo a farlo arrivare alla fine della legislatura, significherebbe giocare un ruolo di assoluto primo piano nel dopo-Silvio. Ed è chiaro che in questa partita Pier e Gianfranco, più che alleati, sono avversari, competitori. E se l'Udc dovesse accettare di entrare in maggioranza il Cavaliere avrebbe l'occasione di "scaricare" definitivamente i finiani condannandoli alla marginalità politica. Succederà? Forse è difficile, ma di certo le parole di Casini hanno immediatamente scatenato le reazioni di maggioranza e opposizione. I finiani provano a salire sul treno con Adolfo Urso che definisce «seria» la proposta lanciata da Pier. Il Pdl si mostra più tiepido. E se Osvaldo Napoli vede nella proposta «l'unica via per mettere carburante alla legislatura altrimenti destinata al naufragio causato da Fini», il coordinatore Sandro Bondi mette a sua volta i paletti perché l'incontro si realizzi: Casini «si dimostri capace di formulare un giudizio più equilibrato e più adeguato sul governo Berlusconi» e allora «potrebbe forse profilarsi un ruolo di responsabilità politica e istituzionale da parte dell'Udc». Che tradotto sembra voler dire: non chiedete le dimissioni del premier.   Assolutamente contraria la Lega con il ministro dell'Interno Roberto Maroni che non usa metafore: «Questo governo di armistizio non so cosa sia, stimo Casini ma resto favorevole ai sani principi della democrazia. Chi vince governa, chi perde sta all'opposizione». Sullo sfondo il resto dell'opposizione, con Pd e Idv che leggono nella strategia del leader Udc un «tradimento» delle aspettative. Forse, anche se non lo dice apertamente, è la stessa cosa che pensa Fini.

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