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Rissa campana e Mara sbotta

Il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna

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L'ultimo dispetto, la classica goccia che fa traboccare il vaso, è stata la storia dei fondi ottenuti in Finanziaria. Una piccola cifra nel mare magnum della legge di Stabilità, come si chiama ora. Quasi venti milioni che Mara Carfagna avrebbe sottratto al ministero della Gioventù guidato da Giorgia Meloni. Spiegano al ministero: «Non è vero, è un falso clamoroso. I nostri fondi aggiuntivi provengono dallo Sviluppo Economico, quelli sottratti alla Gioventù sono andati al ministero dell'Istruzione». Poco importa. Quello che ha fatto lievitare la tensione nel Pdl è stata la richiesta e soprattutto da dove ha tratto origine. Il suggerimento a sottrarre fondi alla Meloni per aumentare le disponibilità del dicastero delle Pari Opportunità è venuto da Futuro e Libertà. È bastato questo particolare (non secondario, in verità) a far incrementare la distanza tra la Carfagna e il suo partito, a metterla all'indice per la sua amicizia con Italo Bocchino, il leader dei finiani alla Camera (dopo Fini), a far crescere i sospetti di «intelligenza con il nemico». Così, a metà pomeriggio esplode la bomba Mara, fredda fuori e pasionaria dentro. L'agenzia Ansa rivela: il ministro delle Pari Opportunità è sul punto di dimettersi dal governo e dal Pdl. La Carfagna starebbe valutando l'ipotesi di lasciare l'esecutivo ed il partito, all'indomani della votazione di fiducia al governo prevista per il 14 dicembre, a causa di insanabili contrasti con i vertici campani del partito e per «l'incapacità» dei coordinatori nazionali del Pdl di affrontare i problemi interni al partito in Campania. Alla base della scelta anche «gli attacchi volgari e maligni» di esponenti del partito come Giancarlo Lehner, Alessandra Mussolini e Mario Pepe. Scoppia il finimondo. Più tardi i coordinatori nazionali del Pdl (Bondi, La Russa e Verdini) rilasciano dichiarazioni di sostegno per la ministra. In suo soccorso si schiera anche Stefania Prestigiacomo e Mariastella Gelmini. Lehner e Pepe chiedono di chiarire il rapporto con Fli.   La Mussolini non torna indietro: «Le presunte dimissioni del ministro Carfagna mi sembrano un pretesto per avere mani libere e fare altre scelte». Silvio Berlusconi, che nel momento in cui scoppia il caso era in volo verso Lisbona per partecipare al vertice Nato, la chiama al telefono e resta con lei a parlare quasi tre quarti d'ora. Chi la incontra nel pomeriggio e ne raccoglie lo sfogo la vede stanca di ricevere attacchi personali da parte di colleghi di partito campani: «Ho la coscienza pulita, non ho nulla da rimproverarmi», ribadisce. Giura: non andrò mai con un altro partito perché sono una persona seria. Se lascerà il governo si dimetterà anche da deputata. Il caso non sarà di facile soluzione perché oltre la questione nazionale si somma a quella locale. La Carfagna è di Salerno e ha avuto un rapporto conflittuale con il nuovo presidente della Provincia, Edmondo Cirielli, sin da quando questi è stato eletto nel giugno 2009. O meglio: dalla formazione della giunta. Cirielli è uno tosto, con triplo incarico: è anche deputato e presidente della commissione Difesa. Legato a Gianni Alemanno. E soprattutto sarebbe dovuto essere un alleato forte nel rinnovamento del partito, a cui invece resiste Mario Pepe, noto alle cronache per i suoi formidabili scherzi. La situazione tracima. E quando si decide di costruire il termovalorizzatore a Salerno Mara vorrebbe che a gestire l'operazione fosse il sindaco della città (del Pd) e non il presidente della Provincia. Nel decreto varato giovedì dal Consiglio dei ministri, gli enti locali sono esautorati a vantaggio di un commissario unico, il governatore Stefano Caldoro. Scoppia il finimondo, il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, se la prende e trova come alleato Nicola Cosentino, che a sua volta detesta il ministro che riuscì a marzo a non farlo candidare governatore. Poi ci sono le battute salaci di Lehner, Pepe non è da meno, la Mussolini che fotografa lei mentre parla con Bocchino in Aula. Cosentino l'altra sera è stato a palazzo Grazioli assieme a Mario Landolfi, Berlusconi fa loro un appello conciliatorio: «Mara è ministro, lavora e ha anche i voti: alle ultime Regionali ha avuto cinquatamila voti. Ha il diritto di fare politica, non le si possono togliere gli spazi». Parla della liason con Bocchino come acqua passata, oramai finita. E insiste: «Dobbiamo stare tutti più tranquilli perché altrimenti la perdiamo». Non ha fatto in tempo a farselo scappare dalle labbra che la Carfagna è già esplosa.  

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