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La palla della crisi

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Eneppure Pier Ferdinando Casini, con quel terzo polo antiberlusconiano che pensava, e forse pensa ancora, di costruire insieme con Francesco Rutelli, detto anche Cicciobello, e con il pettinatissimo Luca Cordero di Montezemolo, intercettando il gioco del presidente della Camera. Niente da fare. La palla, ripeto, passa solo fra i piedi di Berlusconi, Fini e Bossi, per quanto Bersani e Casini corrano come matti da un capo all'altro del campo strizzando l'occhio all'arbitro della partita. Che è e per loro dovrebbe restare sempre il presidente della Repubblica, non quella specie d'intruso che considerano il corpo elettorale per le pulsioni berlusconiane ch'esso avverte da più di sedici lunghissimi anni. Se la situazione non fosse seria, e sotto aspetti persino drammatica per lo spazio che una crisi lascerebbe alle speculazioni della finanza internazionale contro il nostro ingente debito pubblico, e quindi contro la nostra economia, questa strana partita giocata tutta da una parte potrebbe anche divertire. Gli elettori del centrodestra delusi, anzi incazzati per lo sperpero che Fini sta facendo dei voti che essi accordarono due anni e mezzo fa alla coalizione guidata da Berlusconi, potrebbero pure consolarsi con le prove d'impotenza politica delle opposizioni. Gli sperperi politici di Fini, da non confondere naturalmente con quelli immobiliari rimproveratigli dai suoi ex colleghi o camerati di partito per la casa di Montecarlo donata da una sfortunata elettrice e finita nella disponibilità a buon mercato di suo cognato, sembrano essere sempre più avvertiti e temuti tra i parlamentari del suo nuovo movimento. Una prova è nel fatto che nessuno ormai, anche tra i più accaniti sostenitori della crisi e di quella strana destra finiana che tanto piace alla sinistra, dà per scontato che il gruppo di Futuro e Libertà arrivi compatto al voto contro il governo nell'aula di Montecitorio fra poco più di venti giorni. Un'altra prova è nel livore diffamatorio con il quale si registrano e si seguono i ripensamenti in corso in quel campo, attribuiti a "campagne acquisti" e simili. La dice lunga, infine, il videomessaggio con il quale Fini dalla richiesta di dimissioni è passato ieri alla richiesta a Berlusconi di attuare il programma di governo. È incredibile ma vero. Potrà risultare decisivo per il presidente della Camera l'errore compiuto nella scelta dei tempi del suo assalto al Cavaliere: un fallo che il presidente della Repubblica non ha potuto fare a meno di fischiare allungando i tempi della crisi, o pre-crisi, per mettere in salvo la legge di bilancio. Della cui urgenza e "inderogabilità", per ripetere il termine usato al Quirinale, la terza carica dello Stato si era imperdonabilmente dimenticata reclamando la caduta del governo il 7 novembre scorso: forse una data da dimenticare, per Fini, nonostante il bagno di folla e di fanatismo organizzatogli quel giorno a Bastia Umbra dai vari Bocchino, Granata e Briguglio.

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