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Una vera e propria maledizione per i governi Berlusconi, quasi una regola per la Seconda Repubblica: il partito che a inizio legislatura esprime il presidente della Camera, si rivela poi spesso artefice della crisi.

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EPier Ferdinando Casini è la terza carica dello Stato quando l'Udc innesca il rimpasto del Berlusconi II. Ancora da scrivere il finale di storia del Berlusconi IV, ma a chiedere le dimissioni del Cavaliere è il presidente della Camera Gianfranco Fini e il suo neonato Fli. Quasi una legge matematica, dunque, per le terze cariche dello Stato. Una regola che non risparmia neanche i governi di centrosinistra e che è in parte legata al modo in cui è strutturato il nostro sistema istituzionale, secondo Irene Pivetti. Il «brodo» di Prodi. «Il progetto del governo è fallito», dice il leader di Rifondazione Fausto Bertinotti a 'la Repubblicà il 4 dicembre del 2007. Sarà poi Clemente Mastella a staccare la spina all'esecutivo guidato da Romano Prodi, ma il destino appare segnato già nelle parole del presidente della Camera, che conferma la posizione critica del suo Prc: «Il governo ha accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze della sinistra». Due mesi prima Bertinotti, dopo l'ennesimo voto superato per un soffio dalla maggioranza in Senato, aveva già sentenziato: «Il malato ha preso un brodo». I consigli di Casini. «Mi hanno chiesto un consiglio. Ma può un cieco guidare un altro cieco, oppure finiranno tutti e due nel burrone?». Pier Ferdinando Casini nell'aprile del 2005 risponde con ironia alle domande dei cronisti. Sono le ore in cui l'Udc chiede discontinuità al Cavaliere, invocando un Berlusconi-bis, e i vertici del partito centrista si riuniscono a più riprese nell'ufficio del loro leader a Montecitorio per decidere le sorti della legislatura. Casini in pubblico mantiene però sempre la veste di terza carica dello Stato ed evita di entrare nel merito delle questioni politiche. L'eccezione che conferma la regola. Il diessino Luciano Violante tra i presidenti della Camera della Seconda Repubblica appare come l'eccezione che conferma la regola. Ad ogni modo nei suoi anni (1996-2001) il centrosinistra consuma ben quattro governi (Prodi I, D'Alema I, D'Alema II, Amato). La leghista Pivetti. «Non ero segretaria di nessun partito. E questo rispetto a Fini o a Bertinotti mi ha aiutata a restare imparziale nelle ore della crisi», racconta oggi Irene Pivetti. Da giovanissima presidente della Camera, vide il Berlusconi I finire dopo meno di un anno per mano del suo partito, la Lega. «Bossi allora venne a chiedermi una copertura politica, ma io gli dissi che non avrei potuto farlo: per il mio ruolo dovevo solo garantire la continuità del Parlamento». Ma c'è un prezzo da pagare, secondo Pivetti: «Il presidente della Camera nel nostro sistema istituzionale è una vittima sacrificale: per tenere fede al suo ruolo finisce per scontentare tutti, alleati e avversari, e questo lo penalizza sul piano politico, come almeno in parte è successo a me. Dovremmo fare come in Inghilterra, dove il presidente è imparziale, ma dopo gli viene garantita almeno la rielezione».

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