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La pm non cista: ricorso al Csm

Anna maria Fiorillo

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Certi pm non si arrendono mai. Per loro «incastrare» il presidente del Consiglio è il coronamento di una carriera, il traguardo di una vita, l'impresa da raccontare a figli e nipoti una volta raggiunta la pensione. Così, considerando che c'è chi ci prova da vent'anni, si capisce bene che Anna Maria Fiorillo, il pm dei minori che la notte del 27 maggio scorso si occupò della vicenda Ruby, non poteva certo farsi scappare - dopo solo alcuni giorni - una simile occasione, piovutale dal cielo per caso, in una notte di primavera. Ecco allora che il magistrato minorile ieri ha iniziato la sua battaglia, inviando una lettera al Csm in cui chiede «che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita» in quanto «le parole del ministro Maroni che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso». Ovvero, ecco come ti riapro «l'affaire Ruby», dopo (e nonostante) che il procuratore di Milano prima e - soprattutto - il ministro dell'Interno poi avevano rassicurato tutti garantendo che «la questura ha agito correttamente».   La Fiorillo tenta insomma due operazioni così politicamente strategiche da far quasi dimenticare che provengono da chi dovrebbe essere imparziale e terzo per definizione. Da un lato rimettere in mezzo il Cav per «abuso di potere», dal momento che lei sostiene a gran voce di non aver mai dato l'autorizzazione all'affidamento di Ruby a una terza persona (la consigliera regionale della Lombardia Nicole Minetti) quella notte, ma di aver disposto di collocare la ragazza marocchina in una comunità. Dall'altro sbugiardare - di fatto costringendolo alle dimissione se il colpaccio dovesse riuscirle - il ministro dell'Interno. Le motivazioni della Fiorillo - neanche a dirlo - nulla hanno a che fare con tutto questo. Sono quelle di sempre, nobilissime: «Penso che sia importante soprattutto il rispetto delle istituzioni e della legalità, cosa a cui ho dedicato la mia vita e cosa in cui credo profondamente - afferma - Proprio per questo rispetto della legalità e della giustizia quando le vedo calpestate parlo, perché altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio». Maroni, dal canto suo, non si scompone: «Per me il caso è chiuso», avrebbe commentato il ministro dopo aver appreso le dichiarazione del pm. Nessun passo indietro, insomma. La sua posizione rimane «la stessa del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati» che replica: «Non ho nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi. Per me la vicenda era già chiusa allora», ha spiegato. Sarà oggi il Comitato di presidenza del Csm, l'organo di vertice guidato dal vice presidente Michele Vietti e composto dal primo presidente Ernesto Lupo e dal procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, a decidere sulla sorte della lettera inviata a Palazzo dei marescialli dal pm milanese e a stabilire se debba essere affidata a una delle Commissioni del Csm per un'eventuale istruttoria o se invece non ci siano gli estremi per un intervento. Se qualcuno a Palazzo dei marescialli ipotizza che la lettera possa essere affidata alla Prima Commissione, quella che si è occupata ad esempio dello scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro, non mancano le perplessità sulla sua competenza in questo caso. La Commissione in questione, infatti, - che in questa consiliatura è presieduta dal laico del Pd Guido Calvi - si occupa di esposti, ricorsi e doglianze su magistrati oppure di richieste di tutela dell'indipendenza e del prestigio dei giudici. Intanto l'opposizione salta - come d'abitudine - sul carro delle toghe. L'Idv è in prima fila. Il leader Antonio Di Pietro auspica «che il Consiglio superiore possa rapidamente accertare come sono andate le cose e verificare se qualche autorità dello Stato, magari il ministro dell'Interno, abbia riferito il falso in Parlamento», perché se lo avesse fatto «siamo al golpe». Gianni De Magistris crede che il caso Ruby sia stato chiuso «per editto di Maroni» e accusa: «Siamo veramente al paradosso: un ministro dell'Interno che per coprire il presidente del Consiglio è pronto a scaricare la magistratura, occultando il tentativo di ingerenza del capo dell'esecutivo nell'operato della questura di Milano». Anche il Pd ne approfitta: «È troppo facile dire che il caso è chiuso, la verità è che le dichiarazioni del pm dei minori sconfessano completamente la ricostruzione che il ministro Maroni ha fatto intervenendo alla Camera. È evidente che il ministro non ha svolto una approfondita indagine interna per verificare come mai, nonostante le indicazioni contrarie del Pm dei minori, la ragazza sia stata affidata ad una estranea e quanto hanno giocato su questo affidamento le indebite ingerenze della presidenza del consiglio. A questo punto l'indagine deve essere riaperta», sostiene la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. Le solite chiacchiere, insomma. «Fortuna» - si fa per dire - che ci sono i giudici che fanno opposizione.

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