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Senatore Quagliariello, come le è sembrato il discorso del presidente Fini? «Nel complesso, vecchio.

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Cioè?«Innanzitutto Fini ha parlato dell'ideale di nazione. L'ha fatto scegliendo il filone romantico che parte da Mazzini e arriva al fascismo. Invece una destra moderna deve riprendere quello empirico di Cavour. Poi ha parlato di cittadinanza spacciando la sua tesi per una conquista di modernità. Non si è accorto di ciò che dicono esponenti come la Merkel o Sarkozy sul fallimento del multiculturalismo. Voglio dire che il presidente della Camera ha un orizzonte vecchio, come se fosse ancora immerso nel Novecento e non in un nuovo millennio. Ha parlato anche di legalità, coniugandola con l'equità. E qui è sembrato un marziano perché non si può discutere di questo tema senza considerare l'uso politico della giustizia che in questi anni è stato portato avanti da certa magistratura. Infine ha parlato di lavoro: da un lato sembrava richiamare la civiltà del lavoro di stampo fascista e dall'altro ignorava i contributi alla riforma del welfare di questo governo». Quello di Fini è stato un discorso di un presidente della Camera? «Il ruolo del presidente della Camera si è modificato, ora è molto più coinvolto nella vita politica. Tuttavia ci sono dei paletti che non si possono superare». Non avrebbe dovuto parlare di crisi di governo e dimissioni del premier? «Vede, oggi è accaduto questo. Primo: ministri e sottosegretari che si dicono pronti a rimettere il mandato nelle mani del presidente della Camera. E in questo modo determinano una pericolosa confusione tra i poteri. Secondo: il presidente della Camera, che dovrebbe spingere affinché la crisi di governo sia parlamentare, ha di fatto chiesto l'apertura di una crisi extraparlamentare. Terzo: se ci fosse davvero la crisi il presidente Napolitano dovrebbe ascoltare Fini sia nella veste di presidente della Camera sia nella veste di leader del partito che l'ha provocata». Dunque Fini dovrebbe dimettersi? «C'è una contraddizione di fatto tra il presidente della Camera e il fondatore di un partito. Quando sono in gioco le istituzioni, più che una richiesta di parte servirebbe una riflessione comune». Non trova però che lo strappo di Fini stia in un certo senso ridando unità e senso al Pdl? «L'abbandono di Fini ha portato a una maggiore consapevolezza ideale nel Pdl e sta facendo emergere una classe dirigente che ha messo da parte le divisioni e si è unita intorno al premier». Che ne pensa dell'apertura di Fini ai moderati? «Tattica. Da un lato si cita il Papa, dall'altro si chiede il riconoscimento delle famiglie di fatto. Inoltre se Fini ritiene di aprire ai moderati contro Berlusconi si sbaglia di grosso». Futuro e Libertà si lamenta anche della legge elettorale... «Il tema è agitato in modo strumentale, per abbattere il bipolarismo. In ogni caso se il problema è davvero quello di una maggiore rappresentatività, noi daremo risposte già dalla prossima settimana al Senato». Come andrà a finire? Crede che il gioco del cerino tra Berlusconi e Fini continuerà ancora per molto? «È arrivato il tempo che ognuno, in Parlamento, si assuma le proprie responsabilità di fronte al Paese».

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