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Tremonti c'è, il governo forse

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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È un documento di 45 cartelle che reca sul frontespizio «Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento politiche europee». E qui sgombiamo il campo dagli equivoci: né il titolare della presidenza del Consiglio - il Cavaliere - né quello delle Politiche europee - il finiano Ronchi hanno molto a che vedere con questo dossier. Sono altrove affaccendati, e non parliamo di Ruby e dintorni quanto della lotta fratricida tra lealisti e futuristi. In realtà il documento, che si chiama Programma nazionale di Riforma è opera principalmente di Giulio Tremonti, ed è anche un adempimento europeo. Questo piano dovrà essere infatti presentato a Bruxelles nella stesura definitiva entro aprile 2011, da ogni singolo paese, mentre entro metà novembre dovrà pervenire la bozza. É una delle prime conseguenze della strategia varata a Lisbona per sicronizzare le lancette: evitare sovrapposizioni, liti sui finanziamenti, strategie industriali e fiscali divergenti. Insomma, per dotarsi di un vero e concreto master plan comunitario. Qualcosa che parli - prima che ai mercati - agli operatori, ai lavoratori, ai cittadini. Che cosa c'è nel PnR italiano? Molte cose: dalla riforma della scuola al nucleare. Passando per le pensioni, le tasse e la pubblica amministrazione. Un libro dei sogni? Mica tanto: Tremonti non è tipo da sbilanciarsi. E dunque il fatto che tanto la riforma dell'Università quanto il ritorno all'atomo civile (due esempi su tutti) trovino ampio spazio, con dovizia di dettagli, in un paper sul quale lui stesso dovrà poi mettere la faccia costituisce, ci pare, una garanzia di un certo rilievo. Le premesse sono di tipo macro, cioè per grandi numeri. E cioè: entro dieci anni il tasso di occupazione dovrà essere a ridosso del 70%, rispetto al 58,7 misurato nel 2009. Quello tedesco è già oltre il 70. Andiamo avanti: la spesa per la ricerca sul Pil dovrà arrivare all'1,53%, rispetto all'odierno 1,2. Non è un progresso gigantesco: ci allineeremmo tuttavia a Gran Bretagna, Norvegia, Olanda, la stessa Cina. Il tasso di abbandoni scolastici, gli studenti che non arrivano al diploma, dovrà dimezzarsi dal 33 al 15-16%. L'efficienza energetica, ovvero i risparmi di energia primaria, deve migliorare del 13,4%, mentre le fonti rinnovabili dovranno dare almeno il 17% del fabbisogno (e un altro 25% dovrà venire dal nucleare). Le emissioni di gas serra dovranno ridursi alla soglia prevista per tutta l'Unione Europea, il 20%. Ma ciò che più colpisce, almeno noi, è l'ultimo dato, quello sulla povertà: l'obiettivo e di avere 2,2 milioni di poveri in meno. Oggi le varie stime indicano 6-8 milioni di poveri. E veniamo ai passaggi concreti. Il documento indica gli attuali ostacoli alla crescita, definiti «bottleneck», colli di bottiglia; e le relative misure di contrasto, «frontloading». Esempi: abbiamo il problema di stabilizzare in modo durevole il bilancio pubblico (collo di bottiglia). Il contrasto - che in questo caso è evidenziato in chiaro perché già in atto - è dato principalmente dalla riforma della previdenza. Che il governo sta attuando su tre fronti: l'allineamento a 65 anni dell'età di pensionamento per uomini e donne nel pubblico impiego, l'aggancio delle pensioni all'incremento delle aspettative di vita, ed i vari sbarramenti per le pensioni di anzianità. La spesa pubblica previdenziale, che ha raggiunto l'apice nel 2010 in conseguenza anche della corsa ai pensionamenti anticipati, calerà stabilizzandosi nel 2020, e poi scenderà con decisione a metà del secolo. In altri termini, non sarà più un problema, anzi il problema dei problemi (basta guardare a ciò che accade invece in Francia). L'altro contrasto verrà dalla riduzione delle tasse e dal federalismo fiscale: qui aspettiamo per credere. Il cantiere è aperto. Secondo collo di bottiglia: la competitività. Cioè come allineare i salari alla produttività, e come accrescere quest'ultima. Risposta: con la riforma della contrattazione. Anche in questo caso un buon tratto di strada è percorso. Il totem del contratto unico è stato abbattuto, gli straordinari sono detassati, largo spazio c'è ormai per la contrattazione e gli accordi aziendali. Poiché a noi piacciono gli esempi concreti, la Fiat non lascerà l'Italia e Sergio Marchionne ha confermato gli investimenti nel nostro Paese nel suo primo incontro con il ministro Paolo Romani. Incontro preceduto da un summit con Berlusconi e con Gianni Letta. I lettori de Il Tempo sanno con quanta attenzione seguiamo le mosse dell'uomo dal pullover nero, compresi i suoi eccessi. Lo consideriamo però il vero rompighiaccio dell'industria italiana e del mercato del lavoro, più di cento dibattiti. E comunque investimenti per 20 miliardi su 22 mila dipendenti non sono un treno che da noi passa due volte. Ma il documento promette di aumentare l'occupazione, cioè il numero di uomini e donne effettivamente al lavoro. Oggi siamo all'ultimo posto in Europa. Per allinearsi alla media occorrono concorrenza, efficienza amministrativa, ambiente imprenditoriale. Qui il governo indica due fronti: una deregulation burocratica totale («tutto ciò che non è proibito è permesso», accompagnata dal completamento della riforma della pubblica amministrazione; ed un generale ammodernamento delle varie reti, da quella della banda larga a quella energetica. É a questo punto che viene inserito il piano nucleare, con parole che sembrano non lasciare dubbi: «É un processo che non ammette tentennamenti o rimandi al futuro in attesa della nuova generazione di tecnologia atomica. Chi si ferma oggi deve sapere che non potrà ripartire che verso il 2040, periodo in cui ci si attende un incremento vertiginoso della domanda». Veniamo alla scuola: capitolo che si intitola «Capitale umano». Per l'Università - citiamo testualmente - «l'obiettivo primario è eliminare la frammentazione degli indirizzi - che ha comportato la scarsa efficacia nell'uso delle risorse - e insieme di sostenere il miglioramento della qualità dell'offerta formativa. Al riguardo, sono stati definiti indicatori di efficienza/costo e di efficacia/costo correlati sia a regole dimensionali che a requisiti per assicurare la qualità. Il finanziamento delle risorse sarà progressivamente correlato a parametri correlati alla performance e al merito.   L'impianto complessivo della riforma in corso di finalizzazione, nel porsi come obiettivo prioritario l'innalzamento della qualità della formazione superiore, intende altresì contribuire al raggiungimento dell'obiettivo europeo dell'innalzamento del numero dei laureati». E qui è il caso di aprire una parentesi: Tremonti è accusato di usare le forbici, anche sulla scuola. Ultimo caso, la stabilizzazione dei precari dell'università, per i quali il ministro Mariastella Gelmini ha chiesto 1,3 miliardi, mentre il titolare di via Venti Settembre sembra disposto a scucirne 0,8. Problema concreto, che però non centra il cuore del problema. Che è precisamente quello indicato dove si dice «il finanziamento sarà progressivamente correlato alle performance e al merito». Lo si è fatto nella sanità e nel lavoro: perché non nella scuola? Fissato l'obiettivo di aumentare i soldi da destinare alla ricerca e di aumentare il numero degli studenti dimezzando gli abbandoni, dove devono essere destinati i finanziamenti? A mantenere l'apparato scolastico com'è stato finora? Chiusa la parentesi, il dossier quantifica comunque i finanziamenti per l'istruzione nel prossimo decennio, in aggiunta alla spesa corrente (quella per pagare strutture e personale). Si tratta di 4,3 miliardi di euro, 3,8 dei quali per finanziare la riforma vera e propria e 500 milioni per migliorare le infrastrutture. É una cifra giusta? Certamente è una risposta, la prima, a quanti hanno finora detto che si vuol fare una riforma della scuola senza fondi; anzi a colpi di accetta. Vi risparmiamo le tecnicalità e le consuete «direttrici d'azione» sui fondi europei ed i nuovi criteri di utilizzo. Il Programma nazionale di Riforma potrà essere definito una meraviglia, o appunto un libro dei sogni. Noi siamo moderatamente ottimisti. Per tre ragioni:1) tutto ciò che è imposto dall'Europa prima o poi si fa; 2) vediamo Giulio Tremonti predisporre una vera agenda di sviluppo, come chiedono i vari esperti liberali (ultimo, Mario Monti); 3) una road map di questo tipo, con cifre, tabelle e soluzioni pratiche, di questi tempi ci sembra una ventata di aria fresca.  

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