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Barack è al bivio

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Nientesarà come prima dopo le elezioni di mid term. L'America si è risvegliata con due certezze: le idee socialdemocratiche di stampo europeista non attecchiranno mai nel suo vasto territorio e il presidente Barack Obama, da questo momento in poi, per poter governare dovrà tener conto del Tea Party. È l'analisi a caldo del politologo Edward Luttwak, esperto di politica estera e militare. Si preannuncia una strada in salita per il presidente Obama. Come vanno letti questi risultati elettorali? «Prima di tutto bisogna sottolineare che molti democratici eletti che non provengono dalle zone urbane hanno aderito al movimento del Tea Party. E questi, quando dovranno votare non ascolteranno i leader democratici ma la linea del Tea Party, all'antitesi rispetto a quella obamiana. La posizione del Tea Party è semplice: nessun aumento del debito pubblico e nessun aumento di tasse. A Obama non resterà altro che tagliare la spesa pubblica. In fondo quello del Tea Party è lo stesso principio, tipicamente anglosassone, che ispira i duri tagli attuati dal nuovo premier britannico David Cameron». In pratica cosa succederà? «Negli Stati Uniti la Camera dei Deputati deve votare ogni spesa pubblica e boccerà qualsiasi proposta di aumento di spesa e tasse. In pratica Obama ha facoltà di proporre e la Camera con il Tea Party di disporre. Il presidente non potrà aumentare in alcun modo la spesa. Dovrà presentare programmi di tagli oppure lo farà il Congresso». La trasversalità del Tea Party è un messaggio ai democratici della necessità di cambiare rotta? «È inevitabile se vogliono essere rieletti nel 2012. La prima vittima illustre di questa situazione potrebbe essere proprio la riforma sanitaria che è già passata al Congresso ma deve essere finanziata. In gioco ci sono pure le pensioni, i sostegni alle banche e agli istituti finanziari in affanno. Un ridimensionamento della politica del portafoglio aperto verso altri Stati e anche delle spese per le guerre». Come la prenderanno i fedeli di Obama? «Non bene. Ma la realtà è diversa da come la stavano dipingendo loro. La vittoria di Obama, nata dalla crisi economica della fine dell'era Bush ha dato l'illusione che gli americani avessero subìto in questi anni un cambiamento culturale. Ma non è così. Gli americani erano e restano individualisti non vogliono l'assistenza sociale. A loro fa schifo il posto fisso, amano mettersi in gioco, ricominciare, cambiare città, paese ecc. Tutto questo cozza con la politica socialdemocratica all'europea di Obama. I fedelissimi che avevano vagheggiato quel tipo di America si sono accorti di essere una minoranza». Si è insistito molto sul concetto che il Tea Party sia l'espressione ultraconservatrice dell'America profonda «Non è affatto vero quello che hanno dipinto molti media. Ad esempio due candidate estremiste, in Delaware e Nevada, hanno perso. E temi come l'aborto non hanno avuto alcun peso». Il modello del Tea Party è esportabile all'estero? «Dall'Afghanistan allo Zambia credo che l'unico Paese dove potrebbe trovare facilmente applicazione è l'Italia. Per la sua portata emotiva, la capacità di recuperare vitalità al dibattito pubblico e politico. Ma anche perché l'Italia è l'unico Paese dove si potrebbe tagliare la spesa pubblica senza ridurre i servizi, addirittura aumentando i salari degli impiegati pubblici, insegnanti ecc. che sono tra i più bassi in Europa». Dove si potrebbe tagliare, dunque? «Sugli stipendi faranoici che intascano i politici (tutti, indistintamente, dai Comuni in su), i magistrati e i vari manager di Stato. Niente di trascendentale! Basterebbe equipararli alla media europea. In questa maniera si potrebbe risanare il debito pubblico, senza neanche tanti sacrifici». I diretti interessati non ne sarebbero molto contenti. . «Ma è possibile che un presidente della provincia di Bolzano guadagni tre volte tanto del presidente di un Land tedesco molto più popoloso e sicuramente di più della Cancelliera stessa? O una regione come il MOlise,300.000 abitanti, ha un presidente di Regione e ben due presidenti di provincia?» Da chi potrebbe partire l'iniziativa? «Da chiunque, l'importante è che non siano politici e che non abbiano rapporti con politici. Cominciare è facile. Ci si riunisce in un bar o in un locale, si elegge un capo e comincia l'avventura».

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