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Infanticidio democratico

Walter Veltroni (S) e Dario Franceschini

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La Procura non ha aperto inchieste. Nessun pm sta indagando. Il nome dei sospetti non è iscritto sul modello 21. Eppure nel panorama politico italiano si è compiuto un infanticidio. È quello del Pd, che oggi festeggia il suo «compleanno». Tre anni ed è già morto. Lontano e rimpianto appare quel 14 ottobre 2007 quando oltre tre milioni e mezzo di italiani parteciparono alle primarie, eleggendo segretario Walter Veltroni. Doveva essere, e non a caso l'allora sindaco di Roma lo scelse come slogan, l'inizio di «Una nuova stagione». Si è trasformato in una tragedia. Rivedendo al rallentatore il film di questa breve storia è difficile non pensare che il punto più alto sia stato il 34% strappato da «Uolter» alle Politiche del 2008 (lo ha riconosciuto anche Silvio Berlusconi nel discorso pronunciato in occasione del voto di fiducia il 29 settembre). Il resto sono tre segretari in tre anni, una lunga lista di sconfitte elettorali e il solito vecchio spettacolo del «tutti contro tutti».   I Democratici somigliano sempre più al Titanic: continuano ad imbarcare acqua e l'impressione è che presto si spezzeranno in due tronconi. I sondaggi sono impietosi e parlano di una percentuale potenziale di voti che non arriva al 25%. Normale che, in queste condizioni, non sia stata organizzata alcuna festa di compleanno ufficiale. Sul sito internet del partito si fa riferimento ai due anni di vita della televisione democratica Youdem. Per il resto è silenzio. E comunque non ci sarebbe il tempo di festeggiare. Qui, per usare l'ultimo slogan della gestione Bersani, bisogna «rimboccarsi le maniche» per cacciare il Cavaliere nero. Così, piuttosto che spegnere candeline, meglio concentrarsi sulla costruzione del Nuovo Ulivo. Peccato che, come spesso accade dalle parti di Largo del Nazareno, l'abbraccio di Bersani a Nichi Vendola ha avuto lo stesso effetto della benzina sul fuoco. Veltroni, che ha imparato sulla sua pelle le tecniche della guerriglia interna, scatena un gruppetto del neonato Movimento Democratico. Enrico Gasbarra, Simonetta Rubinato, Gianluca Benamati, Tommaso Ginoble e Rodolfo Viola, chiedono infatti al segretario di fare chiarezza sul futuro del partito. «Prima nella direzione e quindi nell'Assemblea Nazionale si è deciso - affermano i parlamentari firmatari - di rilanciare il profilo e il progetto riformatore del Pd per parlare agli italiani e poi per avviare un percorso costruttivo di alleanze. Da alcune ricostruzioni giornalistiche relative all'incontro Vendola-Bersani emerge, invece, un profondo cambiamento di linea politica secondo la quale il Pd andrà a costruire gruppi parlamentari unici con SeL, premessa di un partito unico composto dalle forze che prenderanno parte alle primarie». Anche Marco Follini non esulta: «Non dobbiamo guardare allo sventolio delle bandiere rosse, non dobbiamo guardare alla lotta di classe. il Pd dev'essere un partito che guarda alla linea di metà campo, al centro, ai delusi. Cerchiamo di capire qual è il profilo politico del partito». E se Pier Ferdinando Casini avverte che lui gioca un'altra partita, lettiani ed ex Ppi restano muti. Che non è una buona notizia. Segnali poco incoraggianti anche dal fronte dalemiano: Massimo D'Alema fa filtrare indiscrezioni su un suo commento positivo all'incontro, ma la dalemiana Velina rossa di Pasquale Laurito attacca senza mezzi termini l'intesa al grido di «Moriremo berlusconiani». Sullo sfondo la manifestazione organizzata il 16 ottobre dalla Fiom. Il Pd fa sapere che non aderirà ufficialmente, ma sarà comunque in piazza. In effetti c'è una cosa che in questi tre anni non è mai cambiata: la politica del «ma anche».

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