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Bersani fa un altro passo a sinistra

Il leader del Partito Democratico Pierluigi Bersani

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Il luogo è simbolico. Il ristorante San Teodoro, quasi a metà strada tra il Campidoglio e il loft, prima sede del Pd. È in questo «feudo» del regno di Walter Veltroni, l'uomo che ha teorizzato la «vocazione maggioritaria» dei Democratici contribuendo alla scomparsa parlamentare della sinistra radicale, che Pier Luigi Bersani riabbraccia Nichi Vendola. Un pranzo a base di pesce per rilanciare l'ipotesi di un governo «di scopo» per rifare la legge elettorale (idea fino ad oggi non condivisa da Sinistra ecologia e libertà ndr) e porre la prima pietra di un percorso comune. Quello che il segretario del Pd chiama Nuovo Ulivo, mentre il governatore pugliese considera più che altro un patto tra galantuomini. Anche perché Nichi lo dice chiaramente: nel Nuovo Ulivo non c'è entrato né si predispone ad entrarci («Non mi interessano le formule nominalistiche ma il programma»). Ecco allora servito «il patto di consultazione su programmi e progetti per l'alternativa, per mettere in campo proposte univoche». «C'è la comune volontà - esulta Bersani - di creare un'alternativa». L'obiettivo è cancellare la fallimentare esperienza dell'Unione evitando improvvisazioni. Una volta costruita una coalizione solida saranno i cittadini, attraverso le primarie, a scegliere il candidato premier. L'importante, per ora, è far vedere che Pd e Sel possono andare d'amore e d'accordo. «Il punto in avanti di oggi - spiega Nichi - è che c'è un superamento di polemiche a volte anche alimentate in modo malizioso». Certo, il percorso è ancora lungo. Tanto che il segretario democratico non si nasconde: «I cantieri non sono finiti nel centrosinistra, serve un'organizzazione strutturale, non ci possiamo limitare solo a patti programmatici. L'importante è far capire che non siamo tante pattuglie ma riorganizziamo il centrosinistra». Una riorganizzazione che, secondo Bersani, guarda soprattutto a Sel e Idv, ma senza dimenticare l'Udc: «Bisogna costruire proposte a partire dal centrosinistra da rivolgere a tutte le forze di opposizione». Vendola non pone veti («Non ne metto e non ne voglio subire. Chiunque voglia contribuire al cantiere è il benvenuto»), ma è chiaro che ai centristi non può piacere la prospettiva di una coalizione insieme alla sinistra radicale. Lo dice chiaramente Savino Pezzotta: «Ognuno è libero di fare come gli pare. Bersani deve essere coerente e deve decidere. Non si può alleare con tutti, deve fare delle scelte». Non meno duro Rocco Buttiglione: «Noi non poniamo nessun veto, gli auguriamo il miglior successo, ma la via della ricostituzione del Partito comunista italiano non è la nostra». Insomma, con il suo passo verso sinistra, Bersani si trova ora ad un bivio. Nel Pd c'è chi, silenziosamente come i dalemiani, pubblicamente come Paolo Gentiloni («il rapporto con il centro è fondamentale»), continua a spingere verso l'Udc, ma il segretario sa che il passaggio è stretto. E soprattutto teme che un accordo con i centristi porterebbe ad una rottura con Vendola (Pier Ferdinando Casini non vuole le primarie e difficilmente accetterebbe di non essere il candidato premier) con la creazione di una forza politica di sinistra che ruberebbe voti ai Democratici. E visti i tempi che corrono la prospettiva è tutt'altro che incoraggiante.

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