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Sul Federalismo Fini boccia la Lega

Umberto Bossi e Gianfranco Fini

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Il federalismo solidale, l'unità nazionale contro l'identità padana, gli immigrati che, anche se irregolari, hanno diritti che vanno garantiti. Gianfranco Fini riprende in mano il dizionario della Sinistra e, in visita al Consiglio regionale della Valle d'Aosta, non le manda a dire. Del resto il presidente della Camera è di fatto in campagna elettorale e i sondaggi dicono che Futuro e Libertà toglierà voti soprattutto al Pd. Si spiega dunque il ritorno del numero uno di Montecitorio ai temi cari al popolo di Sinistra. «Solo un approccio superficiale può porre in contrapposizione federalismo e unità nazionale - ha detto Fini - È vero piuttosto che il primo è destinato a rinnovare il modo in cui concepiamo la seconda».   Insomma «alla base della richiesta, da parte dei cittadini, di rafforzare il processo di forte decentramento territoriale non vi è un nostalgico guardare indietro alle piccole patrie preunitarie e nemmeno il fascino per una inesistente identità padana». Macché, tuona Fini, «il federalismo non può essere concepito come uno slogan o come una sorta di manifesto privo di pesi e contrappesi. Sotto questo profilo è necessario configurare, organizzare e far funzionare il nostro sistema di governance multilivello in modo che diventi un fattore di crescita, di sviluppo sostenibile, di coesione sociale e di competitività del Paese». Fini ha poi aggiunto che «se la scelta del federalismo è irrinunciabile, rimane da affrontare la questione che attiene alla necessità di individuare lo specifico modello di Stato federale. E finora - ha concluso - non siamo stati in grado di farlo in modo adeguato». Ma ciò che sta più a cuore a Fini è che il federalismo deve essere «solidale più che competitivo. I forti divari che tuttora permangono tra Centro-Nord e Mezzogiorno non possono giustificare differenziali di trattamento nella fruizione di servizi essenziali che investono diritti fondamentali quali, ad esempio, la tutela della salute. Questo è un principio di civiltà giuridica su cui non è possibile effettuare alcun arretramento o compromesso al ribasso e sul cui rispetto è necessario vigilare».   Il presidente di Montecitorio ha anche sottolineato che «per le spese delle Regioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni e relative a sanità, assistenza e istruzione, nonché per le funzioni fondamentali di Comuni e Province, deve essere garantita l'integrale copertura della differenza tra il fabbisogno standard e il gettito dei tributi dedicati a tali spese». La coesione del Paese resta la stella polare: «I festeggiamenti per i 150 anni dell'unità d'Italia offrono una irripetibile occasione per richiamare l'attenzione di tutti sulla necessità di salvaguardare questo inestimabile patrimonio di valori, combattendo tutti i fattori di disgregazione. Unità e sistema delle autonomie - ha aggiunto Fini - non sono in contrapposizione, ma rappresentano i poli all'interno dei quali trova piena realizzazione una delle dimensioni fondamentali del disegno pluralistico della nostra democrazia». Infatti, tra le caratteristiche più autentiche e apprezzate dell'italianità, c'è proprio «la ricchissima pluralità di identità, di tradizioni, di città e di territori».   E se sulla legge elettorale il presidente della Camera dice che «bisogna cambiarla e, quale che sia la soluzione che si adotta, avvicinare l'elettorato all'eletto», è sugli immigrati che Fini è più netto: «Che siano regolari o irregolari, qualunque cittadino resta una persona con diritti fondamentali. La cittadinanza va concepita non tanto come status ma come appartenenza ad una comunità dove le persone vivono, lavorano, studiano. Nel nostro Paese - ha continuato - ci sono tante persone che lavorano senza essere cittadini, e che non aspirano necessariamente ad esserlo, ma non sono extracomunitari. Questo è un tema che si pone al di là della quotidiana bagarre tra schieramenti e la politica deve far valere la sua centralità». Infine, Fini si è soffermato sul confronto tra i partiti. «La politica va concepita come pubblico ragionamento, che decide dopo aver ascoltato le ragioni dell'altro, in un confronto dove prevale non chi urla di più, ma chi riesce a dimostrare i migliori argomenti. Lavorare in questa direzione - ha sostenuto Fini - presuppone un approccio diametralmente opposto a quello di chi concepisce il politico come un imprenditore del conflitto impegnato a ricavare dalle fratture presenti nella società la massima rendita in termini elettorali. Non è facile, ma è indispensabile esserne coscienti e almeno cercare di riuscirvi». Che si riferisse, tanto per cambiare, a Berlusconi?  

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