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Giornalismo a ruotoli

Michele Santoro ad Annozero

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Un'intervista andata a ruotoli e un'inchiesta che fa rotolare dal ridere, o forse piangere. L'Italia contemporanea è anche questo e, cari lettori, comincio a pensare che questa situazione sia irreversibile. Il presidente della Camera va ad Annozero e dimenticandosi di essere Gianfranco Fini e di aver acquisito come cognato un tal Tulliani Giancarlo e famiglia comincia a parlare della Rai e dei partiti che la controllano dispensando consigli per il futuro.   Sogno o son desto? È lo stesso Fini che attraverso il suo ex partito ha partecipato alla lottizzazione della Rai o è diventato uno strano animale politico, la fusione di Gianfry e Michele, un Fintoro? È la persona che ignora il non trascurabile fatto che i Tulliani avevano appalti nella stessa Rai di cui parla? A occhio e croce direi che è lo stesso medesimo personaggio, solo che il giornalista che aveva di fronte, Sandro Ruotolo, s'è dimenticato di fargli le domande e l'intervista è andata comicamente a ruotoli. Sono cose che capitano ma da «Annozero» e da Michele Santoro francamente io mi aspettavo molto di più, perché penso che al di là delle idee che non condivido Santoro sappia fare televisione e sia assolutamente in grado di capire che far parlare Fini senza affrontare gli argomenti che hanno tenuto banco questa estate equivale ad accendere il microfono senza alcun interlocutore. Né più né meno di un video messaggio dell'odiato Berlusconi. E dall'intervista a ruotoli passiamo all'inchiesta a rotoli. Procura di Napoli, un ufficio giudiziario che proprio non avrebbe niente da fare, insomma tra camorra e affini il lavoro non mancherebbe. E invece no, gli intrepidi procuratori beccano il misfatto dei misfatti, il caso dell'anno, il thriller che diventerà un bestseller: due noti figuri della mala, Al Sallusti e Nic Porro, affiliati al clan dell'informazione di destra, guidata dalla primula rossa Victor Feltri, sono stati presi con le mani nel sacco. Costruivano nientemeno che un dossier su Emma Marcegaglia, la pasionaria di Confindustria, discendente di una nota dinastia del tubo (d'acciaio) sulla quale nessuno ha mai avuto niente da dire. Porro e Sallusti sono già chiaramente colpevoli: hanno cercato notizie e ovviamente il fatto che siano giornalisti solitamente dediti allo spaccio d'informazione costituisce un'aggravante. La Procura di Napoli in questa maniera si assicura un colpo incredibile. In tutti i sensi. Mi chiedo come sia possibile che in un Paese non dico civile, ma perfino delle banane, si possa perdere tempo, infangare la libera stampa e minacciare di fatto qualsiasi giornalista che non la pensa come l'establishment senza che nessuno senta il bisogno di fare quel che va fatto: non una grande manifestazione, sarebbe troppo di fronte a tanta ridicola pochezza, ma una sonora pernacchia a rete unificate. Finché questo Paese non la smetterà di inseguire fantasmi, costruire bislacchi teoremi, dare la caccia a streghe, spaventapasseri, mostriciattoli creati dalle fervide menti di chi trascorre il tempo a srotolare la lingua per terra, staremo freschi. Quando la terza carica dello Stato confonde il suo ruolo il capopartito con quello dell'istituzione, soffre di imbarazzanti amnesie in televisione, gli viene riservato sulla tv di Stato un trattamento da reuccio, siamo alla frutta. Quando una Procura della Repubblica scrive nero su bianco un teorema per cui chi cerca notizie e fa il giornalista entra nel mirino della giustizia allora siamo alla frutta e non quella fresca, badate bene, a quella congelata. Chiunque tra noi, viene registrato al telefono, a parlare con gli amici, con le istituzioni, con le più varie fonti che sono nel taccuino del giornalista dovrebbe essere tutelato. Altrimenti non si spiega, cari signori magistrati della Procura di Napoli, e cari timidi colleghi del sindacato e dell'Ordine dei giornalisti, perché diamine le fonti siano sempre e doverosamente coperte dal segreto. Piuttosto che rivelare una fonte, io vado in prigione. Piuttosto che tradire l'etica del mio mestiere, io preferisco vedere in faccia una toga che mi contesta il mio mestiere. Piuttosto che subire le velate minacce dell'establishment che usa questi metodi da Fouchet, io continuo a scrivere finché ho fiato. Perché la cosa divertente di questo straordinario mestiere è che si può scrivere ovunque, anche sui muri. Siamo alla frutta, lo ribadisco. Però manca ancora il dolce, il caffè e l'ammazzacaffè e voglio proprio vedere come andrà a finire questo pranzo. Io sono pronto a scommettere che tutto crollerà come un misero polverone. Cadrà chi tradisce il mandato degli elettori, cadrà chi dimentica che la magistratura è un ordine e non un potere. Nessuna restaurazione è possibile perché a decidere sono gli elettori non i Palazzi. Basta solo attendere, noi siamo qui, e Il Tempo è galantuomo.

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