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Il giochino di Gianfry è scoperto

Il presidente della Camera Gianfranco Fini

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Cosa sono i finiani? Bella domanda. Sono un partito politico? Si comportano come tale, ma non lo sono. Sono di destra? Arduo capirlo visto che non riconoscono né Dio né Patria né famiglia. Sono un gruppo parlamentare? Fanno finta di esserlo, ma quando si tratta di prendere decisioni somigliano a una Babele. La giornata di ieri è stata davvero istruttiva: come un fulmine a ciel sereno l'intrepido Italo Bocchino caricava la catapulta finiana con palle infuocate e chiedeva a gran voce un tavolo a tre gambe, cioè un vertice per stabilire prima i contenuti del discorso di Berlusconi e della mozione da votare in Parlamento. Un vecchio cavallo di battaglia della politica politicante. Un film già visto, per il quale non val la pena neppure di pagare mezzo biglietto. Ma il braccio destro, sinistro e la testa di Fini (alias Italo Bocchino) in questi giochetti ci sguazza e pure bene. Non è lui a sorprendere, ma un documento di un'altra parrocchia, sempre finiana, che diceva esattamente il contrario di quanto sosteneva l'esuberante Bocchino. Un gruppo di «colombe» infatti bollava come del tutto personale la sortita dell'Italo furioso e lanciava l'idea di far pace con il Cav, se non nella sostanza, quanto meno nella forma. Ora, cari lettori, come me vi starete tutti chiedendo ma chi sono i finiani? Chi li rappresenta? E soprattutto, che fa Gianfranco Fini? È o non è il leader del drappello dei futurlibertini? Perché se lo è, allora dovrebbe spiegarci se Bocchino parla per se o per lui. Dovrebbe dire alle sue colombe se possono o non possono smentire il sulfureo deputato campano. Dovrebbe fare quella cosa che un tempo veniva sintetizzata così: dare la linea. Il problema è che l'unica linea che s'è vista tra i finiani è quella del cognato, Giancarlo Tulliani. Una linea che ha portato Fini a scontrarsi con la dura realtà dei fatti. Con questi ultimi ci sono solo due modi di ragionare: o li accetti e ne trai le conseguenze, oppure l'ignori ma ne trai sempre le conseguenze. Quali sono le conseguenze? Le dimissioni. La vicenda di Montecarlo non é chiusa e ogni giorno che passa aggiunge pezzi nuovi a un mosaico già chiaro. I giornali, nonostante quel che pensa Fini e il suo entourage, non molleranno la presa e le notizie rotoleranno come massi a valle. In queste condizioni, è ogni giorno sempre più chiaro che la terza carica dello Stato non può gestire l'aula, un partito che non c'è, un gruppo in piena ebollizione e un cognato che non ha fornito né a lui né agli italiani alcuna spiegazione sulla casa di Montecarlo. Finchè Fini pretenderà di recitare tre parti in commedia la legislatura sarà in continuo pericolo. Servono coraggio e chiarezza. Né l'uno né l'altro in questa storia sono emersi. Si è visto soltanto alzarsi il polverone del complotto, la panzana della patacca, la fuga in avanti, indietro, a destra e a sinistra della verità e la richiesta pelosa di una tregua che sa tanto di cambiale in bianco per poter vedere meglio il da farsi e soprattutto disfarsi. Al posto di Silvio Berlusconi non mi fiderei. Ma capisco che la politica ha altre categorie d'analisi e dunque è giusto andare a vedere tutte le carte dei finiani. Quelle buone e quelle brutte. Non sono falchi né colombe né soprattutto sono sembrati aquile. Se avessero avuto la vista aguzza non sarebbero finiti in questo marasma che a tratti risulta tragicomico. Sono riusciti nella mirabolante impresa di illudere la sinistra e i suoi opinion maker sulle taumaturgiche capacità di Fini, per cui abbiamo letto in questi mesi scintillanti articoli sull'impalpabile finismo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una catastrofe. Al punto che perfino il proverbiale abbraccio mortale di Eugenio Scalfari s'è dovuto ritrarre per paura di beccarsi la tullianite. Il fondatore di Repubblica ha auspicato la separazione di Gianfranco dalla famiglia Tulliani, non capendo che il problema è assai più vasto. Non una casa a Montecarlo, non un clan parentale, non un cognato in affitto, il problema è che il finismo è semplicemente, irrimediabilmente, totalmente vuoto. E non si può riempire con i desideri di un establishment che sogna la fine del Cavaliere per mezzo di Fini e per inseguire secondi fini. Se il finismo fosse stato pieno, il governo non sarebbe in queste condizioni e Fini avrebbe giocato una partita non per finire travolto dalle gesta del cognatino, non per farsi un partitino, ma per diventare il leader del centrodestra dopo il Cavaliere.   La miopia di Gianfranco per me resta incomprensibile, nelle sue mosse vi è un tasso di irrazionalità troppo alto. È rimasto fregato dal fattore personale (il disprezzo per Silvio) e da quello sentimentale (l'amore per la Tulliani) e ha inanellato una serie di errori gravi. Fini, in sintesi, ha pensato (e pensa) di far fuori Berlusconi con una manovra di Palazzo. Per lui sedici anni di berlusconismo, cioé di rapporto diretto tra popolo e presidente del Consiglio, tra elettore ed eletto, tra programma e partito, tra coalizione e lealtá al patto elettorale, tra comunicazione e politica, tra leader e popolo, sono un fatto che si può ignorare senza arrossire per tornare alla logica del nascondino di Palazzo. È un gioco scoperto.  

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