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"Il Pd si svegli, al centro non si vince"

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Nichi Vendola

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L'operosità di Nichi Vendola è cadenzata da ritmi serrati. Negli uffici del governatore pugliese, nel Palazzo del consiglio regionale, tutto scorre veloce come in un formicaio. Il leader di Sel, candidato in pectore alle prossime primarie del centrosinistra, ha sulla scrivania in bella vista la prima pagina di «Terra» sul caso Cosentino, insieme a «Garbatella combat zone» (edito da Voland), il romanzo di Massimiliano Smeriglio, uno dei leader della sinistra postcomunista nella Capitale. Durante le vacanze estive ha portato con sé, come lettura rigenerante, il saggio «Il midollo del leone», di Alfredo Reichlin. Prima Cavaliere rosso, poi Obama bianco. L'alternativa a sinistra ripartirà da una moratoria dei colori? «Folclore e gossip sono ingredienti costitutivi della scena pubblica. Non essendoci più grandi sceneggiature è rimasta la narrazione sensazionalistica degli ornamenti e dei tendaggi. Il teatro della politica è rimasto orfano di copioni elevati e corre il rischio di rimanere privo di pubblico». Nell'opposizione tiene banco il nodo delle primarie, tra chi vorrebbe evitarle e chi dichiara anticipatamente - come Massimo D'Alema - di non avere intenzione di votarla. «Il tema per il centrosinistra è quello di capovolgere la stagione della rivoluzione passiva. Il berlusconismo ha liquidato tutte le culture politiche del Novecento, destinandole alla museificazione, come repertorio marginale. Di contro è stato introdotto un codice della politica che offre una partecipazione passiva al popolo delle tifoserie e un protagonismo delle élite economiche e di potere. Per andare avanti, facendo tesoro degli errori del passato da non ripetere, è necessario ri-motivare la politica come proprietà pubblica, con un protagonismo popolare. Ma il centrosinistra appare in preda a scombussolamenti interni, fibrillazione, rendiconti intestini. L'unica soluzione, in questi casi, è uscire all'aria aperta, riconnettendosi ad un popolo». Piero Fassino ha definito il suo appeal tra le fila del Pd come "simpatia per frustrazione". Enrico Letta l'ha paragonata ad un avvoltoio. Si può costruire una alleanza su queste basi? «Bisogna guardare alla gente che non milita, al popolo senza partiti, alla grande opinione pubblica, a coloro che da tanti anni, da ex Pci, votano la Lega. Dovremmo impegnarci a conoscere le domande sociali di una società che non può essere decifrata con i sondaggi». Come replica a chi sostiene che la sua candidatura escluderebbe l'appoggio dell'Udc? «Chi ragiona così è dentro una dimensione separata... Di sicuro non si vince al centro, una risposta stereotipata ed astratta. Ai cittadini non importata dove si vince, interessa il cammino del Paese». Ha sfiducia negli attuali partiti presenti nel panorama italiano? «Sono diventati progressivamente dei contenitori vuoti, dei simulacri. Partiti poverissimi di vita democratica e di rapporti con la società civile, hanno la facoltà di sequestrare la scelta per le rappresentanze istituzionali, come avviene per il "Porcellum"». Alessandro Profumo si è dimesso da poche ore dai vertici di Unicredit e c'è già chi immagina di ingaggiarlo nel centrosinistra , come una sorta di «Tremonti dell'opposizione». Questa opzione la convince? «Si tratta di uno scandalo multi-livello: il primo è quello rappresentato dall'ordalia leghista, che si propone la conquista del sistema del credito come leva del comando. Torna così l'Italia feudale mentre siamo esposti ad una signoria potente come quella tedesca. Il secondo piano riguarda Unicredit, una delle banche più vivaci dal punto di vista della finanziarizzazione malata, dei titoli tossici. Non si può mettere sotto traccia questo tema, mentre assistiamo ad una globalizzazione che si è schiantata contro il muro della finanza derivata e della sue acrobazie da gangster. Profumo è il protagonista di questo mondo, che va messo in discussione. Non è irrilevante che nel pieno di questa gigantesca crisi globale, un "qualunque essere umano" abbia una liquidazione di quarantadue milioni di euro». Le perturbazioni tra governo e finiani, tra campagne di stampa e accuse dossieraggio, segnano tutti i limiti della Seconda Repubblica? «Tra il caso Marrazzo ed il caso Caldoro si è squadernata per intero la violenza di quella guerra a bassa intensità che si combatte ai vertici dei poteri. La fine della Prima Repubblica aveva una sua tragicità e nobiltà. La Seconda Repubblica, nata in una culla posticcia, è morta rapidamente. Ora ci vorrebbe la discesa in campo di pensieri forti, pensieri alati. Abbiamo bisogno di mettere in campo una classe dirigente: una missione che il Paese ha nel mondo attuale ed una visione del Paese nel mondo futuro». L'Italia è pronta ad essere guidata da un presidente del Consiglio gay? «Non ho mai usato pubblicamente la mia omosessualità e non sono mai stato un "omosessuologo", un esperto. Mi sono però dovuto difendere dalle tempeste mediatiche. Non mi si può chiedere di mutilare la mia personalità e neanche di mutilare il mio orecchio del mio orecchino... La secolarizzazione ha tanti effetti negativi, e quello positivo di essere giudicati non per come si appare, ma per come si è. In Puglia non ho incontrato resistenze da parte del mondo cattolico. Mi sono sempre approcciato seguendo la lezione di Antonio Gramsci: rifiutando qualunque scorciatoia anticlericale. Poi c'è la storia delle persone. In questo paese il trenta per cento degli italiani è stato cattolico e comunista insieme. Farne un caso di anomalia, è molto strano». Come si sente incasellato nella formula di "ayatollah di un comunismo lirico", con i conti della sanità però sballati? «Marcello Veneziani non mi raffigura in maniera luciferina o malvagia, e mi riconosce passione civile e buona fede. Allo stesso tempo mi addebita tutte le colpe del comunismo... La mia militanza nel Pci, però, in epoche non sospette, è stata sempre improntata ad istanze di libertà. Qualcuno ha descritto la Puglia come Cuba, ma è una battuta mal riuscita». I bilanci regionali legati alla salute dei pugliesi traballano... «Questo è un appunto che mi ha mosso anche Eugenio Scalfari, giornalista di rango. Il piano di rientro non deriva da conti malati: sono in ordine e lo ha certificato il ministero dell'Economia. Ho i problemi del patto di stabilità interna... Ma questo disavanzo è una cifra in continuità con il passato». Nell'Italia delle laceranti divisioni, sorprende il canale di dialogo civile che ha costruito nel tempo con Silvio Berlusconi. «Le nostre telefonate? Non ci sentiamo da tanto. C'è grande cordialità e rispetto con il presidente del Consiglio. Nelle scorse settimane l'ho ripetutamente cercato invano. Ho interloquito con Gianni Letta, uomo impeccabile nello stile istituzionale».

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